Patologie epatobiliari e del pancreas esocrino

22/02/2020

Il fegato svolge un ruolo fondamentale nei processi metabolici (anche dei farmaci), di riserva (glicogeno, vitamine liposolubili, ecc.), di sintesi (albumina, fattori della coagulazione, ecc.) e di detossificazione del sangue (ciclo dell’urea). La cistifellea (o colecisti) è un contenitore della bile prodotta dal fegato che viene rilasciata nell’intestino in seguito ai pasti e, assieme agli enzimi pancreatici, è essenziale per il processo di demolizione e assorbimento dei nutrienti assunti con la dieta. Il pancreas è una ghiandola con una doppia funzione: nelle isole del Langerhans (pancreas endocrino) vengono prodotti insulina e glucagone necessari all’assorbimento controllato del glucosio la cui disfunzione è causa del diabete (non trattato in questo articolo); le strutture acinose (pancreas esocrino) producono gli enzimi pancreatici e altre sostanze che vengono riversate nel duodeno e servono ai processi digestivi.

Segni clinici e diagnostica

I segni clinici di una patologia epatobiliare e/o pancreatica sono molto variabili, non sempre evidenti, e includono anoressia, vomito, perdita di peso, diarrea; poco o per nulla specifici: lo stesso ittero, comunemente attribuito ad una patologia epatobiliare, può avere differente origine: neoplastica (es. linfoma), infettiva (es. FIP), tossica, o derivare dalla rottura dei globuli rossi per patologie parassitarie (es. mycoplasmosi) o immunomediate.

La diagnosi di patologia epatobiliare o pancreatica richiede, basilarmente, un profilo ematochimico completo, analisi delle urine, radiografia ed ecografia addominale oltre ad esami specifici; in molti casi la diagnosi definitiva si ha solamente tramite biopsia e istologia.

Principali parametri biochimici di interesse

Enzimi epatici: gli enzimi epatici sono normalmente compresi nei panel biochimici e sono in genere indicativi di un danno a livello epatocellulare (ALT alanina aminotransferasi, AST aspartato aminotransferasi) o di un danno del sistema biliare (ALP – fosfatasi alcalina, GGT gamma glutamil transferasi): da notare che in certi casi si possono avere questi enzimi entro valori normali pure in presenza di una importante malattia epatica. ALT e AST sono enzimi presenti negli epatociti e un innalzamento del loro valore è indicativo di un danno cellulare (necrosi e/o maggior permeabilità della membrana): in particolare l’ALT, in quanto l’AST è presente anche nei tessuti muscolari e quindi meno specifico. In linea generale un danno acuto causa un innalzamento più marcato anche se in generale il livello di questi enzimi non è correlabile all’entità del danno e/o alla prognosi. ALP e GGT sono invece indicatori di colestasi che può essere intra od extraepatica in cui si ha una compromissione del flusso della bile al duodeno.

Albumina: in quanto prodotta quasi interamente dal fegato, l’ipoalbuminemia può essere indicativa di insufficienza epatica severa, ma solo dopo aver escluso altre cause di perdita (ad esempio dai reni attraverso la valutazione della proteinuria o dal tratto gastrointestinale).

Urea/BUN: è il prodotto della detossificazione dell’ammoniaca (derivante a sua volta dal metabolismo delle proteine) che ha luogo esclusivamente nel fegato: mentre l’innalzamento è comunemente indicativo di una patologia renale, l’abbassamento dell’urea sierica si ha solo in caso di danno epatico terminale o in condizioni particolari ( shunt portosistemico ).

Bilirubina: è un indicatore importante di un problema epatobiliare oppure di emolisi; nei casi severi l’iperbilirubinemia è causa di ittero [aspetto giallastro della cute che nel gatto si nota principalmente sulle mucose orali e nell’interno dei padiglioni auricolari]. La maggior parte dei laboratori non distingue tra bilirubina diretta e indiretta ma fornisce solo il totale anche se il dato può avere una certa utilità nel distinguere tra le varie forme di iperbilirubinemia e le cause sottostanti.

Altri parametri (colesterolo, glucosio, elettroliti): colesterolo e glucosio non rappresentano indicatori specifici; il colesterolo si può alzare in presenza di colestasi intraepatica severa o può ridursi in corso di insufficienza epatica si possono avere condizioni di ipoglicemia in presenza di tumori, grave perdita della funzionalità del metabolismo del glucosio (gluconeogenesi e glicolisi), neoplasia, ecc. Analogo discorso per gli elettroliti che vanno monitorati per adeguare le terapie in degenza ma non forniscono elementi diagnostici significativi

Analisi delle urine

Nelle normali analisi delle urine vengono rilevati due sostanze che possono avere correlazioni con un danno epatico: la bilirubina (bilirubinuria) e l’ urobilinogeno : fisiologicamente sono assenti o presenti in minima quantità in soggetti non anemici. La bilirubinuria, in assenza di emolisi, è indicativa di una colestasi mentre l’urobilinogeno, in quanto influenzato da altri fattori (pH, funzionalità renale, peso specifico, ecc.) è poco significativo. Nelle urine possono anche essere presenti cristalli di bilirubina e, più raramente, di biurato di ammonio; in entrambi i casi più comuni nel cane che non nel gatto.

Feci

L’aspetto delle feci è un possibile indicatore di patologie epatobiliari e pancreatiche specie in caso di feci acoliche/ipocoliche , steatorrea o particolarmente scure/rossastre anche se queste alterazioni possono avere altre cause.

Esami specifici

Acidi biliari (sierici e urinari): la misurazione del livello degli acidi biliari sierici si effettua con un doppio prelievo, a digiuno e postprandiale: è un esame per la valutazione della funzionalità epatica ma presenta una serie di problematiche sia nell’esecuzione pratica (difficoltà a fare assumere il pasto, la sua composizione) che a livello interpretativo (la determinazione del livello di cut-off postprandiale). La determinazione degli acidi biliari urinari (normalizzati in base al valore della creatinina urinaria) non richiede il doppio prelievo e rappresenta una alternativa alla misurazione degli acidi biliari sierici di analoga affidabilità (1).

Ammoniaca sierica: La determinazione del livello sierico di ammoniaca (derivata dal catabolismo degli aminoacidi e convertita in urea dal fegato) richiede alcune accortezze in fase di raccolta, trasporto e conservazione del campione in quanto l’ammoniaca è molto instabile. Questo test è indicato in casi di sospetta encefalopatia epatica e/o shunt portosistemico (2); i livelli di ammoniaca sierica possono crescere solo in presenza di una grave compromissione della funzionalità epatica.

fPL (lipasi pancreatica felina): si tratta di un esame per individuare la pancreatite (acuta). Il test della lipasi pancreatica felina è disponibile in versione qualitativa (SNAP fPL)(3) , che permette una prima valutazione immediata del caso e in versione quantitativa (Spec fPL), da effettuare in laboratorio, utile ad una conferma diagnostica.

fTLI (immunoreattività tripsino-simile felino): Il test fTLI (4) serve ad individuare l’insufficienza pancreatica; si effettua solo in laboratorio e richiede tempi non brevissimi; da notare che la supplementazione di enzimi pancreatici non influenza l’esito del test in quanto questi sono di origine suina.

Ecografia e citologia/biopsia

L’ecografia è lo strumento diagnostico più indicato/utilizzato nella diagnosi di queste patologie. In alcuni casi, per arrivare ad una diagnosi definitiva può essere necessario disporre di un campione su cui effettuare un’analisi citologica o istologica. La citologia (ecoguidata ad ago fine) è la tecnica meno invasiva (se l’animale è collaborativo si effettua anche senza sedazione) ma non sempre permette un risultato diagnostico, mentre la biopsia, che consiste nel prelievo di un campione di tessuto, garantisce maggiore certezza ma è anche più invasiva.

Esistono tre metodiche per effettuare una biopsia: il tru-cut eco/TC guidato che consiste in una sorta di ago di grosso calibro (indicativamente 18-13 G, 1-2 mm) che permette l’estrazione di una porzione di tessuto; la laparoscopia che consiste in un intervento mininvasivo dove si interviene con dei piccoli fori sulla parete addominale attraverso i quali si introduce una videocamera e gli attrezzi chirurgici; e infine la laparotomia dove si accede, a cielo aperto, alla cavità addominale.
Ovviamente la laparotomia è la tecnica più invasiva ma anche quella che offre maggiori possibilità diagnostiche sia nell’individuare visivamente le lesioni (e quindi prelevare il campione più significativo) che di eventuale intervento (es. in presenza di masse). La scelta tra le diverse tecniche è ovviamente di esclusiva competenza dei medici e comunque deve essere preceduta da una accurata valutazione del paziente sul piano anestesiologico e coagulativo.

Malattie epatobiliari

Le malattie epatiche interessano il parenchima epatico (es. lipidosi epatica), il sistema biliare (es. colangiti) e il sistema vascolare epatico (shunt portosistemico) con diversa eziologia (anche neoplastica, qui non trattata) e patogenesi. Non raramente sono coinvolti più organi (es. colangioepatite, triadite) e, specie negli stadi terminali, si assiste ad un danno sistemico (encefalopatie epatica).

Lipidosi epatica

La lipidosi epatica viene distinta in primaria o secondaria ad un’altra patologia (es. diabete non controllato, ipertiroidismo, pancreatite, IBD ecc.): si parla di lipidosi epatica primaria, idiopatica, quando non si individuano specifiche cause scatenanti.
I gatti maggiormente soggetti ad andare incontro a questa malattia, che presenta un’alta mortalità se non riconosciuta/trattata in tempo, sono i gatti obesi ma può interessare anche gatti normali che per le ragioni più diverse (rehoming, malattia, cambiamento di dieta forzato, ecc.) vanno incontro ad un periodo di prolungata anoressia/riduzione dell’apporto energetico normale di oltre il 50% (indicativamente 5-7 settimane (5)). La malattia comporta una massiva accumulazione di grassi all’interno degli epatociti con conseguente perdita di funzionalità, compressione dei canalicoli biliari e colestasi intraepatica.
La patogenesi della lipidosi epatica non è del tutto chiarita (6): si presume sia multifattoriale e correlata ai particolari meccanismi metabolici delle proteine e dei lipidi del gatto (l’analoga patologia umana è la steatosi epatica, diffusa, ma solitamente meno grave) tipici dei carnivori stretti. In estrema sintesi l’accumulo di grassi nel fegato deriva da uno squilibrio tra la smobilitazione del grasso periferico verso il fegato (per produrre energia), la carenza di proteine (metionina, arginina, taurina) e altri nutrienti che facilitano la sua successiva distribuzione ai tessuti attraverso le VLDL.

È importante ricordare che qualunque gatto, anche con peso corporeo normale, che va incontro ad un periodo di anoressia per le ragioni più diverse (dallo stress, ad un cambio di dieta, ad una qualsiasi patologia) è a rischio di sviluppare la lipidosi epatica: per questo è necessario intervenire precocemente, anche con l’alimentazione forzata.

La diagnosi definitiva si ottiene tramite biopsia/citologia ma la condizione è altamente presumibile in presenza di epatomegalia iperecogena rilevabile durante l’esame ecografico e dagli esami biochimici. In particolare, l’iperbilirubinemia/ittero (presente nel 95% dei casi accertati), un marcato innalzamento di ALT, AST e ALP e, solitamente, solo un moderato innalzamento della GGT che contrasta con gli altri parametri indicativi di colestasi (in caso di patologia primaria del tratto biliare sono alti sia GGT che ALP, oltre alla bilirubina). Inoltre, nei gatti con lipidosi epatica si registrano valori significativamente bassi di BUN a causa della perdita di funzionalità degli epatociti; sono solitamente presenti alterazioni elettrolitiche, iperglicemia (e anche glicosuria). Non raramente questi gatti presentano anemia.

Il gatto in lipidosi epatica deve essere necessariamente ospedalizzato: è fondamentale istituire al più presto un’alimentazione forzata con l’apposizione di un sondino esofagostomico attraverso cui alimentarlo con cibi ad alto contenuto proteico per un periodo piuttosto lungo. Vanno ovviamente messe in atto tutte le terapie di supporto: quindi fluidoterapia, correzione delle alterazioni elettrolitiche, (solitamente) supplementazione di vitamina K, eventuale trasfusione. Solo quando si instaura precocemente l’alimentazione forzata (e la si mantiene per periodo di tempo adeguato) la prognosi favorevole.

Colangiti

In premessa va ricordato che esiste una certa confusione circa la definizione e la classificazione delle malattie del fegato e del tratto biliare cui un gruppo di lavoro del WSAVA ha cercato di porre rimedio (7). Qui useremo il termine colangite (e non colangioepatite) per indicare un’infiammazione del tratto biliare e solo secondariamente un eventuale coinvolgimento del parenchima epatico. Nel gatto la colangite è la tra le più comuni malattie del tratto biliare e si distingue in neutrofilica, linfocitica e cronica (o parassitaria da trematodi) (8).

Colangite neutrofilica

La colangite neutrofilica è la forma più comune ed è conseguenza di una infezione batterica che dall’intestino, al duodeno risale al dotto biliare; questo genere di infezione si può presentare da sola o in associazione ad analoghe infezioni intestinali e pancreatiche (la cosiddetta triadite). L’insorgenza è breve (tipicamente un paio di settimane) e si manifesta in modo aspecifico con letargia e piressia, inappetenza, vomito, diarrea, perdita di peso, ittero. Normalmente l’emocromo presenta linfopenia e neutrofilia con spostamento a sinistra e neutrofili tossici; nei biochimici si ha iperbilirubinemia, enzimi epatici alterati, specie ALT e AST; l‘ecografia supporta la diagnosi con moderata epatomegalia, inspessimento della parete della cistifellea, dilatazione dei dotti cistici e/o colecistolitiasi (calcoli biliari, rari nel gatto). È possibile il prelievo della bile (colecistocentesi con ago fine ecoguidato) per un esame colturale, questa procedura seppur considerata abbastanza sicura, ha come complicanza più grave (9) il rischio di rottura della cistifellea e conseguente peritonite ; anche la biopsia epatica può presentare rischi in pazienti instabili.
Oltre alle terapie di sostegno vanno somministrati antimicrobici che, in mancanza di un esame colturale, devono fornire copertura di batteri gram positivi e negativi, aerobi ed anaerobi. La prognosi è buona specie in assenza di altre comorbilità.

Colangite linfocitica

La colangite linfocitica è così detta in quanto a livello istologico si caratterizza per la presenza di infiltrati linfocitici consistenti con un’eziologia immuno-mediata il cui evento scatenante è probabilmente una precedente o diversamente localizzata infezione batterica (es. intestinale). La presentazione è analoga a quella della colangite neutrofilica ad eccezione della piressia. I gatti affetti presentano alterazioni degli enzimi epatici ma non neutrofilia; l’esame ecografico può evidenziare ascite (con alti livelli di proteine, e cellule infiammatorie), epatomegalia, linfoadenopatia, ma raramente anomalie alla cistifellea e ai dotti biliari. Il trattamento prevede la somministrazione di corticosteroidi a dosi immunosoppressive e acido ursodesossicolico.

Colangite cronica (parassitaria)

Si tratta di una infezione parassitaria da trematodi, una classe di vermi piatti che ha un ciclo di vita molto complesso, endemico in alcune aree tropicali asiatiche ma segnalato, sporadicamente, anche in Europa (10). Spesso queste infezioni sono asintomatiche ma possono esserci casi acuti con ostruzione biliare extraepatica e infezioni severe in relazione al carico parassitario. La presentazione è sostanzialmente analoga alle altre forme di colangite; l’aspetto forse più distintivo è dato dall’eosinofilia; l’ecografia non è particolarmente indicativa. Le uova possono essere individuate nelle feci ma un esisto negativo non esclude la possibilità dell’infezione.
Sebbene di difficile diagnosi, in caso di sospetto diagnostico si può trattare con comuni antiparassitari (praziquantel, Droncit); da tenere presente che, sebbene si tratti di un’infestazione normalmente asintomatica, può anche risultare fatale. Tra gli agenti che possono causare colangiti parassitarie va anche segnalato il toxoplasma (11).

Ostruzione extraepatica del dotto biliare

Si tratta di una condizione patologica (12) secondaria a processi infiammatori (a carico del pancreas, dei dotti biliari, del duodeno) o neoplasia; più raramente il fenomeno ostruttivo è riconducibile a colelitiasi (calcoli biliari, rari nel gatto), forme di ernia diaframmatica che interessano la cistifellea, massiva presenza di trematodi, ecc.
I segni clinici sono quelli di una severa epatopatia colestatica: ittero, anoressia, depressione, vomito, epatomegalia, feci acoliche. La diagnosi è essenzialmente ecografica; biopsie ed aghi aspirati vanno decisi con cautela sia per la probabile presenza di coagulopatie che per il rischio di rottura della cistifellea che si trova sottoposta a compressione. Il trattamento deve essere indirizzato a risolvere la causa primaria; la chirurgia va considerata come ultima possibilità in caso di ostruzione completa

Ipertensione portale, shunt portosistemico, encefalopatia epatica

Lo shunt portosistemico consiste in una derivazione, un raccordo, tra il sistema della vena porta e la vena cava che bypassa in modo parziale il fegato e quindi porta sangue non detossificato direttamente in circolo; questi shunts possono essere intraepatici o extraepatici, singoli o multipli. L’ipertensione portale è dovuta ad una accresciuta resistenza vascolare/aumentato flusso ematico nella circolazione portale (che dal sistema GI porta il sangue al fegato) che può avere come conseguenza l’angiogenesi di shunt e ascite.
L’encefalopatia epatica è causata dalla presenza di composti nel sangue che sono tossici per i tessuti cerebrali (ammoniaca e altri) ed è la conseguenza di patologie epatiche gravi e prolungate, insufficienza epatica o di shunt portosistemici che immettono sangue non processato dal fegato nel circolo sistemico. Ad eccezione dello shunt portosistemico congenito, si tratta quindi di condizioni patologiche tra loro spesso correlate.

Ipertensione portale

Si parla di ipertensione portale (13) quando si ha un aumento della pressione sanguigna nel sistema venoso che dal GI porta il sangue al fegato dovuto a qualunque alterazione che comporti una maggior resistenza vascolare e/o un aumento del flusso ematico. Il fegato riceve il suo principale apporto di sangue (circa i 3/4) dalla vena porta che va ad alimentare i lobuli epatici diramandosi in capillari che poi si ricongiungono a formare la vena epatica che confluisce nella cava e di qui al cuore. Quando le alterazioni sono a carico della vena porta si parla di ipertensione preepatica, intraepatica quando interessano venule e capillari interni (sinusoidi epatiche), postepatica quando sono coinvolte vena epatica/cava/cuore.
Le alterazioni possono essere di vario genere: a titolo esemplificativo, nel caso di ipertensione pre o postepatica possono esserci trombi, stenosi, compressioni esterne (es. neoplasie), problemi cardiaci lato destro o ipertensione polmonare che comunque si risolvono in una limitazione del flusso ematico. Nel caso di ipertensione intraepatica le cause possono croniche (fibrosi) e/o infettive (colangiti).
Non si tratta quindi di una specifica malattia quanto piuttosto della conseguenza patologica di altra/e patologie, non necessariamente a carico del fegato, ma che si riflettono sulla funzionalità epatica causando ulteriori danni d’organo.

In questo contesto, l’ascite, cioè l’accumulo di liquido nella cavità addominale come conseguenza di uno squilibrio delle forze che regolano lo scambio di fluidi a livello dei capillari ( equazione di Starling ), è la manifestazione più comune dell’ipertensione portale. Si tratta della conseguenza ultima di una serie di reazioni, entro certi limiti compensatorie, che comportano l’aumento della gittata cardiaca e la vasodilatazione splancnica che a sua volta può portare ad una ipotensione sistemica per cui si attiva il RAAS, il rilascio di ADH e catecolamine con funzione compensatoria; ciò ha però come conseguenza l’aumento della pressione idrostatica che, con la concomitante ipoalbuminemia (per perdita e per ridotta produzione a livello epatico), contribuisce all’aggravamento dell’ascite

La formazione di shunt portosistemici multipli a diversa localizzazione, favorita dall’ipertensione e dall’azione di fattori angiogenici, porta inizialmente ad un abbassamento della pressione portale che è però destinata ad essere ripristinata a causa della preesistente vasodilatazione del sistema splancnico.
Esistono poi diverse altre complicanze dell’ipertensione portale, note in umana ma non descritte in veterinaria (iponatremia, sindrome epatorenale, peritonite batterica spontanea, splenomegalia, gastropatia ipertensiva, ecc.) a causa delle oggettive difficoltà di ottenere dati precisi (es. pressione portale) nella specie canina e ancor più felina.
La diagnosi dell’ipertensione portale è complessa e si basa sulla valutazione dei parametri biochimici, dell’emocromo, della coagulazione, la valutazione del fluido ascitico oltre che di varie tecniche di diagnostica per immagine e in primo luogo dell’ecografia (oltre che scintigrafia, angiografia e altre tecnologie avanzate quando disponibili). Ad oggi non sono disponibili tecniche diagnostiche per una individuazione precoce dell’ipertensione portale e spesso si arriva alla diagnosi solo dopo la comparsa di sintomi caratteristici di uno stadio ormai avanzato della condizione patologica. I trattamenti disponibili tendono a contrastare le complicanze più gravi.

Shunt portosistemico congenito e acquisito

Come accennato, lo shunt portosistemico (PSS) può essere congenito (intra o extraepatico, generalmente costituito da un singolo vaso) o acquisito e in tal caso si tratta normalmente di shunt multipli (MAPSS). Queste malformazioni congenite sono conseguenza della mancata chiusura dei vasi che bypassano il fegato nel feto e che normalmente si chiudono subito dopo la nascita; sono piuttosto rare e in genere si manifestano nei primi mesi vita anche se sono riportati dei casi in gatti adulti (14). Gatti in queste condizioni manifestano sintomi neurologici legati all’encefalopatia epatica (letargia, atassia, deambulazione compulsiva, sensorio stuporoso, ecc.) e altri quali anoressia, polifagia, pica , soprattutto scialorrea. Nei casi di PSS congenito, è generalmente possibile l’approccio chirurgico (preferibilmente con l’apposizione di un costrittore ameroide che evita l’insorgenza di ipertensione portale postoperatoria), risolutivo nei casi diagnosticati precocemente quando il difetto non ha ancora portato ad atrofia epatica conseguenza della ipoperfusione dell’organo. Come conseguenza di una persistente ipertensione portale o di ipoplasia della vena porta (15) possono formarsi degli shunt che originano da vestigia di connessione vascolari embrionali e che generalmente sono costituiti da derivazioni multiple, tortuose, extraepatiche localizzate in prossimità del rene.
Si tratta comunque, specie nel gatto di patologie rare (16) e di non semplice diagnosi e trattamento.

Encefalopatia epatica

L'encefalopatia epatica (17) è un disordine mentale, che può portare a come e morte il soggetto, derivante da una grave disfunzione epatica. I sintomi possono essere inappetenza, letargia, atassia, cecità, incoordinazione, convulsioni, grave ptialismo [scialorrea, eccesso di salivazione], cambiamenti comportamentali fino ad arrivare al decubito laterale, completa non responsività e coma. Le cause sono sempre riconducibili ad una grave disfunzione epatica anche se l’eziologia può essere molto diversa, acuta e cronica. Tra le cause acute ricordiamo: intossicazione (acetaminofene, aflatossine, ingestione di funghi velenosi, ecc.), infezione/parassiti (FIP, toxoplasma, ecc.), ischemica (anemia emolitica, neoplasia, linfoma, ecc.), metabolica (lipidosi epatica); tra quelle croniche, come già accennato, qualunque grave patologia epatica allo stadio terminale e/o la presenza di PSS.
L’encefalopatia epatica viene distinta in base alle cause che la determinano: insufficienza epatica acuta (tipo A), PSS in assenza di patologia epatica (tipo B), malattie del parenchima epatico associate ad ipertensione portale complicate dalla presenza di shunt acquisiti (tipo C). In ogni caso la conseguenza è l’afflusso di sostanze tossiche al cervello (ammoniaca e altre) che sfuggono all’azione detossificante del fegato per perdita di funzionalità intrinseca o che non lo raggiungono per anomalie vascolari.
Esiste una rara forma di encefalopatia, detta kernittero, che è causata dalla deposizione di bilirubina non coniugata nel tessuto del tronco cerebrale che provoca un danno neurologico acuto e cronico; vi sono casi riportati (18) anche su adulti (normalmente è una patologia neonatale).

Epatopatie tossiche / insufficienza epatica acuta

L’insufficienza epatica acuta comporta una compromissione grave delle funzionalità del fegato ad insorgenza improvvisa su un soggetto sano o in presenza di una preesistente patologia. Le cause principali sono l’esposizione/ingestione di agenti tossici ambientali, chimici o farmacologici, il trauma, il danno ipossico.
Quando si ha il sospetto che il gatto sia stato esposto a qualunque sostanza inusuale o abbia assunto un farmaco non prescritto o abbia assunto un farmaco prescritto a dosi eccessive o presenti reazioni avverse va immediatamente ricoverato.

È importante sapere che ci sono farmaci che non vanno somministrati al gatto nel modo più assoluto quali ad esempio l’acetaminofene (Tachipirina®) (19), e diversi altri di cui è stata riconosciuta la tossicità e vanno usati con cautela, alle dosi indicate e solo quando non vi siano alternative. Ad esempio, il diazepam (Valium®) (20) che veniva prescritto per problemi di ritenzione urinaria/urinazione inappropriata può essere sostituito con alti principi attivi; lo stanozololo (Stargate®) (21), uno steroide anabolizzante che veniva prescritto come stimolatore dell’appetito e promotore della crescita è risultato tossico nel gatto. Vi sono poi diverse classi di farmaci, tra cui alcuni antibiotici, il metimazolo usato nel trattamento dell’ipertiroidismo, alcuni antifungini (ketoconazolo, ma anche il comune itraconazolo) che richiedono cautele e controlli nella somministrazione.

Malattie del pancreas esocrino

Il pancreas è una ghiandola che ha una doppia funzione: endocrina per la produzione di insulina e glucagone (gli ormoni che regolano la glicemia), esocrina per la produzione e secrezione nel duodeno di enzimi digestivi (in forma di zimogeni) e bicarbonati sotto lo stimolo nervoso (nervo vago) ed ormonale (colecistochinina) conseguente al passaggio del chimo nel duodeno. La principale patologia del pancreas è la pancreatite, che spesso si associa a concorrenti processi infiammatori a carico del fegato e piccolo intestino (triadite) e, piuttosto rara, l’insufficienza pancreatica.

Malattie del pancreas esocrino

La pancreatite si presenta spesso in forma acuta, primaria o come acutizzazione di una cronica; la distinzione tra le due forme si ha essenzialmente a livello istologico, e comunque, il dato non è dirimente nella prima fase del trattamento.

Pancreatite acuta

La pancreatite acuta è quasi sempre idiopatica; le altre cause riconosciute sono: trauma, ostruzione del dotto/reflusso della bile nel dotto pancreatico (raro nel gatto, in questa specie è spesso presente un dotto pancreatico accessorio che sfocia direttamente nel duodeno senza congiungersi al dotto biliare), ischemia, intossicazione da organofosfati, disordini endocrini e metabolici, ecc. Indipendentemente dalle cause, la pancreatite acuta è la conseguenza di una auto-attivazione del tripsinogeno nel pancreas e/o ridotta autolisi della tripsina prematuramente attivata che porta ad una “autodigestione” del tessuto e severa infiammazione. Ricordiamo che la tripsina è un enzima proteolitico prodotto dagli acini pancreatici e mantenuto in forma inattiva di zimogeno (tripsinogeno) che si attiva (tripsina) solo quando raggiunge l’intestino ed è deputata alla demolizione delle proteine; una parte residuale di tripsinogeno si attiva fisiologicamente nel pancreas ma viene costantemente inibita da particolari molecole protettive (inibitore della secrezione pancreatica SPINK1): un’attivazione precoce dell’enzima all’interno dell’organo porta alla proteolisi e conseguente necrosi del tessuto pancreatico.
Il processo di attivazione precoce del tripsinogeno non più controllato innesca una potente risposta infiammatoria sistemica anche in casi di pancreatite lieve che, nei casi più gravi, può portare ad insufficienza multiorgano e coagulazione intravasale disseminata che possono essere letali.

I segni clinici, così come in parte l’eziologia (es. possibili fattori genetici e trigger alimentari quali diete con alto contenuto di grassi che però valgono soprattutto nel cane), differiscono significativamente tra il cane il gatto. Nel gatto i segni clinici sono aspecifici (letargia, anoressia, vomito, ittero, deidratazione, dolore addominale percepibile) e spesso modesti anche in presenza di pancreatite severa, fatto che rende problematica la diagnosi anche quando sono note storia clinica e anamnesi. Le alterazioni ematochimiche sono relativamente aspecifiche così come le indagini ecografiche non sempre consentono di arrivare ad una diagnosi definitiva. L’amilasi, un enzima che idrolizza i carboidrati complessi non è significativo nella diagnosi di pancreatite felina.
Di maggior aiuto è la determinazione del livello della lipasi pancreatica specifica felina (un enzima) che si può ottenere rapidamente grazie alla disponibilità di un test rapido (SNAP fPL), utile in urgenza, e confermato successivamente dal valore quantitativo (Spec fPL) (22). La diagnosi definitiva di pancreatite e la distinzione nelle sue varie forme (acuta necrotizzante, acuta suppurativa, cronica, ecc.) può essere ottenuta solo tramite biopsia: metodica invasiva e non adatta ad instaurare rapidamente i trattamenti medici necessari.
Da notare inoltre, che, sempre nel gatto, la pancreatite è non raramente associata ad IBD e colangite (triadite) e può essere falsamente diagnosticata come malattia epatica.

Trattamenti e prognosi dipendono dalla severità del caso e comunque richiedono l’ospedalizzazione del paziente: nel gatto, data la non palese gravità dei segni clinici e la difficoltà diagnostica è sempre bene adottare un trattamento aggressivo per prevenire complicanze fatali. Il gatto deve essere sottoposto a fluidoterapia endovenosa, devono essere accuratamente monitorati gli elettroliti e deve essere impostata una terapia analgesica (è una condizione dolorosa anche se il gatto, a differenza del cane, tende a non manifestarlo); vengono anche utilizzati antiemetici (es. maropitant) e gastroprotettori (ranitidina, omeprazolo). Normalmente non servono antibiotici (se non per ragioni profilattiche) e non sono indicati gli antinfiammatori. È importante un adeguato supporto nutrizionale ma esistono criticità circa la via di somministrazione: l’alimentazione tramite sondino (esofagostomico o rinogastrico) potrebbe stimolare (attraverso la colecistochinina) il rilascio di enzimi epatici aggravando ulteriormente la condizione; negli animali più critici, almeno nelle prime fasi del ricovero, sono quindi preferibili la nutrizione parenterale totale o intradigiunale (23).

Pancreatite cronica

Si tratta di una condizione di difficile diagnosi (24) seppure piuttosto comune: da uno studio su reperti necroscopici (25) è emerso che molti gatti apparentemente sani presentavano alcune evidenze istopatologiche di pancreatite cronica. I segni clinici, come peraltro nella pancreatite acuta, sono aspecifici (letargia, anoressia, vomito, ittero, perdita di peso) come aspecifiche e non raramente normali sono le risultanze di emocromo ed esami biochimici; anche la fPLI, significativa nel caso di pancreatite acuta, è poco indicativa nella pancreatite cronica. Anche gli studi radiografici ed ecografici non sono di grande aiuto (pur permettendo di escludere altre cause); una diagnosi definitiva si può avere con l’esame istopatologico di campioni ottenuti tramite biopsia sebbene questa procedura venga raramente effettuata.
La pancreatite cronica, col tempo, può portare allo sviluppo di insufficienza del pancreas esocrino ed è spesso associata a colangite e IBD. Il trattamento è sintomatico e include fluidoterapia e correzione delle alterazioni elettrolitiche, analgesia, controllo del vomito, alimentazione controllata.

Insufficienza pancreatica (EPI)

Questa condizione è caratterizzata da una ridotta sintesi e secrezione degli enzimi pancreatici e la causa principale, nel gatto, è da ricercarsi in una preesistente pancreatite cronica (26). In teoria possono esservi altre cause quali ipoplasia pancreatica, atrofia degli acini pancreatici, compressione (es. tumori, ostruzione del dotto pancreatico), parassitarie (trematodi): tutte cause che però non sono state ad oggi descritte nel gatto.
Un gatto in insufficienza pancreatica presenta perdita di peso malgrado polifagia, feci voluminose, morbide e chiare (feci acoliche, steatorrea), cattiva condizione del mantello. Eventuali alterazioni degli esami ematochimici sono generalmente da attribuire ad altre patologie concomitanti quali colangite cronica, IBD, ecc. La diagnosi si ottiene tramite un esame del sangue specifico (preferibilmente a digiuno), la fTLI che quantifica la presenza di tripsinogeno nel siero (una piccola parte di questo zimogeno entra in circolo).
Il trattamento consiste nella supplementazione con enzimi pancreatici ed eventualmente, quando necessario, con integrazione di cobalamina (il cui assorbimento risulta spesso deficitario in caso di EPI). La prognosi, su gatti regolarmente trattati e monitorati è favorevole.

Triadite

Triadite (27) è un termine utilizzato per indicare uno stato infiammatorio dell’apparato epatobiliare/GI che comprende, in diversa misura, colangite, pancreatite e piccolo intestino (IBD). Non riferisce una specifica patologia ma descrive un quadro clinico complessivo (peraltro non raro) che è il risultato del concorso di una o più patologie sottostanti. La stretta contiguità anatomica di fegato, colecisti e pancreas (tutti connessi al duodeno attraverso il dotto biliare/pancreatico) può spiegare perché ad esempio una colangite neutrofilica (batterica) possa interessare anche il pancreas pur avendo origine nell’intestino (ricordiamo che la concentrazione di batteri nell’intestino del gatto è di ordini di grandezza più alta nel gatto che non nel cane o in umana).
In umana e in animali da esperimento, è stata riconosciuta e caratterizzata la pancreatite autoimmune (28) e non si può escludere che le colangiti linfocitiche, le pancreatiti croniche e/o le forme miste come le enteriti linfoplasmacitiche siano conseguenza, o esista comunque una correlazione, di un processo immunomediato. La diagnosi deve avere l’obiettivo di individuare l’organo primariamente implicato e l’approccio terapeutico dev’essere conseguente.

Fonti:

Cenni di fisiologia

Fegato

Il fegato è una grossa ghiandola lobata annessa all’apparato digerente collocata nella cavità addominale sotto il diaframma. Ha un doppio apporto di sangue: sangue arterioso (arteria epatica) e sangue venoso (prevalente) proveniente dall’intestino e dalla milza attraverso la mesenterica superiore e la vena splenica che confluiscono nella vena porta: queste vene, all’interno del fegato si diramano nuovamente in una rete di capillari che si ricongiungono in uscita nelle vene epatiche che confluiscono nella vena cava inferiore che riporta il sangue “processato” al cuore. Questo sistema venoso che all’interno dell’organo si dirama in capillari per poi confluire nuovamente in un vaso maggiore è detto sistema portale e il fegato è il più rilevante di questi sistemi.
Dal fegato originano anche i dotti epatici che convergono nel dotto epatico comune, che si unisce al dotto cistico (proveniente dalla cistifellea) a formare il coledoco, che a sua volta si unisce al dotto pancreatico (a livello dell’ampolla di Vater) e infine sfocia nel duodeno sotto il controllo dello sfintere di Oddi. Questo sfintere è normalmente chiuso e in tal modo la bile secreta continuamente dal fegato si raccoglie nella cistifellea; solo dopo i pasti, la bile e i succhi pancreatici vengono rilasciati nell’intestino dove concorrono ai processi digestivi.

A livello istologico il fegato è costituito da unità dette lobuli epatici che si presentano come degli esagoni ai cui vertici troviamo le triadi portali costituite dalle ramificazioni dell’arteria epatica, della porta e dei dotti biliari (in uscita); da qui si dipartono file di epatociti che convergono a raggiera verso il centro dove si trova un ramo della vena epatica che drena il sangue in uscita verso la cava. I canalicoli biliari si dipartono dalle interconnessioni degli epatociti (la linea cellulare largamente predominante) e convergono verso i dotti biliari mente tra le file di epatociti si diramano dei particolari capillari detti sinusoidi epatiche che convergono verso la vena centrolobulare e che trasportano sangue arterovenoso. In questo spazio che separa le file di epatociti si trovano anche le cellule di Kupfer (macrofagi) e le cellule di Ito (o cellule stellate) che hanno la capacità di secernere quei fattori di crescita che garantiscono la grande capacità di rigenerazione del fegato. I capillari linfatici si trovano negli spazi portali e non all’interno dei lobuli epatici.

Metabolismo della bilirubina
Un’alterata concentrazione di bilirubina sierica è il principale indicatore di un problema epatico (o di anemia emolitica) e, quando molto elevata, è visivamente percepibile in quanto conferisce una colorazione giallastra a cute e sclera detto ittero.
La bilirubina è il prodotto della degradazione dell’emoglobina contenuta negli eritrociti esausti (emocateresi) principalmente ad opera dei macrofagi della milza (una quota residua deriva sempre dalla distruzione di globuli rossi immaturi che avviene nel midollo o nel fegato). I fagociti che processano l’emoglobina rilasciano bilirubina che però viene prontamente legata all’albumina e raggiunge il fegato attraverso il circolo epatico (bilirubina non coniugata o indiretta). Negli epatociti l’emoglobina si dissocia dall’albumina, e attraverso diversi passaggi, viene legata all’acido glucuronico (bilirubina coniugata o diretta) ed escreta attraverso la bile che viene poi riversata nel duodeno. A livello dell’intestino tenue la bilirubina subisce il processo inverso, viene dissociata dall’acido glucuronico e degradata ad urobilinogeno da parte dei batteri intestinali. La maggior parte viene escreta direttamente con le feci (stercobilinogeno), una piccola parte con le urine e un’altra parte rientra nuovamente nel fegato.
Negli esami biochimici spesso si misura solo la bilirubina totale anche se è possibile distinguere tra la componente coniugata e non coniugata; l’innalzamento della bilirubina non coniugata (o indiretta) che rappresenta comunque la parte predominante nel sangue, è indice di un processo emolitico. In presenza di una ostruzione del flusso della bile (colestasi) comporta un aumento della bilirubina coniugata (o diretta).

Le tante altre funzioni del fegato
Oltre al metabolismo della bilirubina cui si è sopra accennato il fegato svolge diverse altre funzioni:

Il sistema biliare

La bile è un liquido secreto dagli epatociti la cui funzione primaria è quella della digestione e dell’assorbimento dei lipidi e delle vitamine liposolubili; serve inoltre come stimolo alla peristalsi e veicolo di eliminazione della bilirubina, di sostanze tossiche e di alcuni ormoni. Il principale componente della bile è costituito dagli acidi biliari (acido colico e chenodesossicolico) che vengono sintetizzati dagli epatociti a partire dal colesterolo e sono poi coniugati con formando così gli acidi biliari primari coniugati (o sali biliari). I sali biliari riversati nell’intestino seguono tre differenti percorsi: possono essere riassorbiti intatti e ritornare al fegato (linea rossa in fig.), possono essere deconiugati, ritornare al fegato e venire nuovamente coniugati e rientrare in circolo (linea verde in fig.), possono essere deconiugati e modificati in sali biliari secondari dalla microflora (linea blu in fig.): alcuni vengono di essi vengono riassorbiti e solo una parte viene escreta con le feci (acido litocolico). In questo modo (circolazione enteroepatica) si ha un ricircolo quasi completo (circa il 90% nell’uomo).
La bile è una soluzione acquosa che contiene i sali biliari, fosfolipidi, colesterolo, elettroliti e bilirubina; viene immagazzinata e concentrata nella cistifellea e da qui, transitando per il coledoco, viene poi riversata nel duodeno passano per lo sfintere di Oddi. L’apertura di questo sfintere, così come lo stimolo contrattile della cistifellea e lo stimolo al pancreas alla secrezione degli enzimi pancreatici è dato da uno stimolo vagale e dalla colecistochinina (o CCK), un ormone gastrointestinale la cui secrezione è favorita dalla presenta di grassi nel .

Il pancreas esocrino

Il pancreas è una ghiandola dall’aspetto acinoso piuttosto voluminosa posta trasversalmente nella parte superiore della cavità addominale posteriormente allo stomaco; il dotto pancreatico che si congiunge col dotto biliare sfocia nel duodeno controllato dallo sfintere di Oddi. Il pancreas svolge sia una funzione endocrina attraverso la produzione di insulina e glucagone, che regolano l’assorbimento cellulare del glucosio, che una funzione esocrina secernendo diversi enzimi digestivi.
La funzione endocrina è a carico delle isole di Langerhans che sono piccole formazioni rotondeggianti sparse nel tessuto esocrino dove vengono prodotti gli enzimi digestivi. All’interno delle isole di Langerhans si distinguono diverse linee cellulari tra cui, fondamentalmente, le cellule alfa che secernono glucagone (un ormone iperglicemizzante antagonista dell’insulina) e le cellule beta che secernono insulina (ormone ipoglicemizzante, cioè che facilita l’assorbimento del glucosio abbassando la glicemia).
Il tessuto esocrino, che rappresenta la larghissima parte del pancreas, è costituito da acini, unità funzionali con struttura simile alle ghiandole salivari, deputate alla produzione del succo pancreatico che viene raccolto da dotti che via via si uniscono nel formare il dotto pancreatico (dotto di Wirsung). L’acino pancreatico è costituito dalle cellule duttali che secernono una soluzione ricca di bicarbonati e dalle cellule acinose che sintetizzano e secernono gli enzimi pancreatici che assieme alla componente alcalina costituiscono il succo pancreatico. La componente alcalina ha lo scopo di tamponare l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco e di creare un ambiente adatto al funzionamento degli enzimi. Questi sono fondamentalmente di 4 tipi:

Il pancreas non si “autodigerisce” in quanto questi enzimi sono secreti in forma di zimogeno, cioè di proenzimi che poi vengono attivati nel lume intestinale secondo diversi meccanismi.
La regolazione della produzione e secrezione del succo pancreatico è data da stimoli nervosi e ormonali (colecistochinina che stimola la componente enzimatica e la secretina quella alcalina; entrambi prodotti dal duodeno).

Fonti:

Roberta Di Maggio, DVM; referente dell’Unità Op. Medicina Interna; OVUD, Padova

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