Introduzione al sistema immunitario

29/10/2019

Il sistema immunitario è quell’insieme di tessuti e organi, cellule e mediatori chimici che sono in grado di orchestrare e controllare una risposta prevenendo l’instaurarsi di una infezione e combattendo quelle in atto.
In questo articolo si prova a delineare una “big picture” in cui introdurre i principali concetti per poi accennare ad alcuni aspetti più specifici.
Di certo restano fuori tanti aspetti importanti e il quadro d’insieme risulterà a macchia di leopardo, ma questo è appunto un’introduzione, uno stimolo ad approfondire quello che forse è il più interessante ed intrigante dei sistemi fisiologici.

The big picture

Tutti gli organismi viventi hanno dei meccanismi di difesa dagli agenti patogeni più o meno sofisticati e adatti a contrastare le diverse tipologie di agenti infettivi (agenti biologici di varia natura che possono causare uno stato di malattia) in cui possono incorrere.
I batteri dispongono ed evolvono meccanismi di difesa dai fagi (virus che attaccano i batteri) e di evasione dalle risposte immunitarie e farmacologiche; gli invertebrati dispongono di un sistema immunitario assimilabile a quello che chiamiamo immunità innata; gli organismi superiori, nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato un sistema molto più complesso e articolato proprio per garantire una risposta efficace alla estrema differenziazione dei patogeni cui possiamo andare incontro.

La complessità del sistema immunitario (1) deriva dalla necessità di rispondere ad una molteplicità di patogeni estremamente diversi tra loro in termini di dimensione (da poche decine di nanometri dei virus ai diversi metri della tenia), di vie di accesso, di meccanismi patogenici, di natura biologica (procarioti, eucarioti uni e multicellulari, virus), di tropismo (predilezione verso determinati tessuti/organi), di distribuzione geografica (alcuni patogeni sono presenti solo in determinate aree e non in altre), ecc.

Il sistema immunitario dei mammiferi è organizzato in due grandi comparti tra loro strettamente cooperanti: l’immunità innata e quella adattiva. L’immunità innata è aspecifica ed estremamente rapida nella risposta mentre l’immunità adattiva è specifica e lenta nella risposta, ma essendo dotata di memoria, è in grado di rispondere in modo veloce ed efficace a successive esposizioni dello stesso patogeno.

L’immunità innata è costituita da barriere fisiche quali la cute e le mucose (anche se le mucose dispongono di una loro specificità in termini di immunità), da alcuni tipi di cellule immunitarie (essenzialmente i fagociti) e dal sistema del complemento (un complesso di proteine circolanti) oltre che da molteplici citochine di segnalazione necessarie al coordinamento della risposta. Cute e mucose non costituiscono una semplice barriera fisica passiva ma, tramite secrezioni con capacità antimicrobiche (peptidi quali catelicidine, defensine e istatine presenti in saliva, lacrime, sudore) e la flora batterica intestinale (in competizione con gli agenti patogeni), svolgono anche un ruolo attivo nel contrasto all’ingresso dei patogeni nell’organismo.
Quando i microrganismi riescono a superare questa prima linea difensiva (ad esempio in conseguenza di una ferita) incontrano delle cellule immunitarie che sono in grado di riconoscerli, di richiamare altre cellule dal torrente ematico e di scatenare quel complesso di reazioni che va sotto il nome di infiammazione che permette l’eliminazione del focolaio di infezione e/o la riparazione dei tessuti danneggiati. Il riconoscimento dei patogeni avviene grazie al fatto che questi microrganismi presentano una serie di caratteristiche comuni: che si tratti di batteri ma anche di certe specie virali. Inoltre, vengono riconosciuti anche segnali di danneggiamento delle cellule che permettono di instaurare un’azione di riparazione dei tessuti anche in condizioni non settiche (cioè un danneggiamento dei tessuti che non è conseguenza di una infezione).
L’azione effettrice antimicrobica è affidata alle cellule dell’immunità innata e al sistema del complemento che è in grado di riconoscere e aggredire i patogeni. I macrofagi ed i neutrofili (linee cellulari specifiche dell’immunità innata) sono in grado di fagocitare e distruggere i patogeni all’interno di vescicole dette fagosomi: azione facilitata quando questi sono opsonizzati (cioè “ricoperti”) da proteine del complemento o anticorpi (strumento specifico dell’immunità adattativa). Un particolare tipo di cellule, dette Natural Killer (NK) è poi in grado di distruggere le cellule del proprio organismo (self) in presenza di particolari segnali che indicano tali cellule come anomale (infettate da un virus, neoplastiche, ecc.).
Tutto il processo che va dal riconoscimento iniziale del patogeno in modo aspecifico, al reclutamento di altre cellule immunitarie, all’azione effettrice si scatena nell’arco di pochi minuti e ha sempre la stessa entità, efficacia ed efficienza.

Tutto questo però non è sufficiente a garantirci una protezione completa: ci sono batteri, funghi, protozoi, tossine che non possono essere riconosciuti dai recettori dell’immunità innata o che non possono essere individuati perché presenti all’interno delle cellule. Pertanto, se disponessimo solo della componente innata saremmo esposti a tutta una serie di agenti infettivi anche letali, ma fortunatamente, l’organismo dispone anche di una immunità adattativa.

L’immunità adattativa è predisposta a riconoscere, virtualmente, qualunque agente patogeno possibile ma, a differenza dell’immunità innata, non è in grado di rispondere in modo rapido. Questa componente del sistema immunitario è caratterizzata da un processo molto complesso di riconoscimento dell’antigene cui segue la proliferazione di cellule effettrici e di anticorpi (proteine che sono in grado di legarsi a dei patogeni neutralizzandoli e favorendone la successiva eliminazione da parte delle cellule fagocitarie): tutto questo processo richiede indicativamente 5-7 giorni, che sono un tempo enorme rispetto ai minuti/ore in cui si instaura la risposta innata. Questo vale però solo per la prima volta che incontriamo un determinato patogeno mentre, grazie al meccanismo della “memoria immunitaria”, la risposta è molto rapida e maggiormente efficace a successive esposizioni.
La memoria immunitaria è l’elemento chiave del successo “evolutivo” dell’immunità adattativa. È vero che molti individui possono soccombere all’infezione prima che l’organismo sia in grado di mettere in campo una risposta efficace ma quelli che sopravvivono restano immunizzati e le successive esposizioni non costituiranno più un pericolo per quell’individuo. Ecco spiegata l’importanza dei vaccini: la memoria immunitaria è il meccanismo che sta alla base delle tecniche vaccinali che consistono appunto nel simulare un’infezione al fine di costruire i presupposti che ci proteggeranno da una “vera” infezione.

Le cellule dell’immunità adattativa sono caratterizzate da estrema specificità, cioè ogni cellula riconosce e può aggredire solo un determinato antigene e non altri, e per forza di cose, devono essere in numero molto limitato: se disponessimo di un numero adeguato di linfociti (le cellule del sistema adattativo) pronte ad affrontare ogni possibile infezione dovremmo avere in circolo un numero spropositato di queste cellule.

L’immunità adattativa si distingue poi in immunità umorale e cellulo-mediata: l’immunità umorale agisce negli spazi extracellulari ed è mediata dagli anticorpi, proteine secrete dai linfociti B che hanno la capacità di legare gli antigeni, inattivarli e renderli più facilmente aggredibili e degradabili dalle cellule fagocitarie dell’immunità innata. L’immunità cellulo-mediata riesce a distruggere le cellule infette da virus e patogeni intracellulari che non verrebbero riconosciute dalle cellule NK tramite una particolare popolazione di linfociti T (CTL).

Un sistema tanto complesso è inevitabilmente esposto a disfunzioni che si chiamano ipersensibilità e autoimmunità e si verificano quando si hanno risposte sproporzionate, eccessive ad un antigene e quando, per le ragioni più diverse, il nostro sistema immunitario attacca cellule del suo stesso organismo (self).

  • Lo scopo del sistema immunitario è quello di proteggere gli individui dalle più diverse infezioni;
  • L’immunità innata rappresenta la prima linea di difesa dell’organismo: è aspecifica, rapida ed efficiente ma non in grado di proteggerci da ogni tipo di infezione;
  • L’immunità adattativa è mediata dai linfociti, richiede un processo complesso di attivazione e proliferazione di cellule adatte a contrastare uno “specifico” patogeno. La risposta non è immediata: è lenta alla prima esposizione, molto efficiente a successive esposizioni (memoria immunitaria);
  • L’immunità adattativa si distingue in umorale e cellulo-mediata: l’immunità umorale colpisce uno specifico patogeno negli spazi extracellulari (essenzialmente tramite anticorpi) mentre l’immunità cellulo-mediata è in grado di distruggere le cellule infette che costituiscono i serbatoi di infezione tramite i linfociti citotossici;
  • Le disregolazioni del sistema immunitario possono dare luogo a fenomeni di ipersensibilità e autoimmunità con conseguenze anche gravi e letali.

Organi e cellule del sistema immunitario

Il sistema immunitario è costituito da un insieme di organi, tessuti, cellule e mediatori chimici che operano in concerto tra loro (2). Gli organi direttamente ascrivibili al sistema immunitario sono gli organi linfoidi primari (midollo osseo e timo) e quelli secondari (linfonodi, milza, tonsille, organi linfoidi mucosali, ecc.): tutti questi organi svolgono un ruolo di rilievo nell’immunità ma non solo: ad esempio il midollo è sede dell’emopoiesi (la produzione dei globuli rossi), i linfonodi sono parte del sistema linfatico, la milza serve anche alla distruzione di eritrociti e leucociti esausti, ecc.

Le cellule del sistema immunitario sono i cosiddetti “globuli bianchi” o più propriamente i leucociti: una parte di essi, cioè i linfociti B e T, le cellule NK (Natural Killer) e le ILC (linfociti intraepiteliali) discendono da progenitori linfoidi comuni mentre i granulociti (neutrofili, eosinofili, basofili, mastociti e monociti) e parte delle cellule dendritiche discendono dalla linea mieloide. Se è vero che i linfociti sono ascrivibili all’immunità adattativa è molto più sfumato il ruolo dei granulociti che hanno certamente un ruolo centrale nell’immunità innata ma sono anche coinvolti in quella adattativa.

I mediatori chimici (citochine) e recettori

Il contrasto delle infezioni da parte del sistema immunitario è demandato a delle cellule che circolano nel torrente ematico o che risiedono nei tessuti o che vengono richiamate in situ. Queste cellule necessitano di un sistema di comunicazione che si realizza attraverso un complesso di proteine secrete (citochine) con funzioni di segnalazione e di stimolo e di recettori cellulari che sono in grado di riconoscerle e tradurre questi messaggi in azioni(3).
Il termine “citochine” indica genericamente delle proteine di piccole dimensioni e a seconda del ruolo che svolgono assumono diverse denominazioni.

Le diverse citochine sono prodotte in seguito ad uno stimolo antigenico o in risposta ad altre citochine e hanno un campo d’azione limitato: paracrino o autocrino, cioè verso cellule vicine o verso sé stesse.
I recettori sono molecole di superficie che sono in grado di riconoscere quella determinata citochina e, legandosi con essa, inviare i segnali intracellulari che fanno sì che quella cellula possa rispondere in conseguenza del segnale ricevuto. Ci sono anche recettori per le immunoglobuline e decine di altri mediatori chimici (es. ormoni): genericamente si può dire che i recettori sono le “antenne” attraverso le quali le cellule captano i segnali provenienti da altre cellule.

  • Il sistema immunitario è un sistema “diffuso”: il midollo osseo è la sede di produzione delle cellule immunitarie ma anche dei globuli rossi; i linfonodi sono sede dell’attivazione della risposta adattiva ma sono parte del sistema linfatico, ecc. ;
  • Le cellule del sistema immunitario sono i cosiddetti “globuli bianchi”: derivano da progenitori linfoidi (i linfociti) e mieloidi (le cellule fagocitarie). Alcune linee cellulari sono tipiche del sistema adattivo (i linfociti) mentre le altre (APC, cellule fagocitarie) operano sia in contesto innato che adattivo;
  • Citochine e recettori sono gli strumenti di comunicazione, coordinamento e controllo tra le cellule immunitarie. Si tratta di mediatori chimici che vengono secreti in risposta ad eventi (es. il riconoscimento di un patogeno) e che vengono riconosciuti dai recettori di altre cellule e stimolano azioni conseguenti. Vi sono decine di citochine diverse che assumono nomi diversi (interleuchine, interferoni, ecc.) e hanno azione pro-infiammatoria, inibitoria, antivirale, ecc.

L’antigene e come viene riconosciuto

Il termine “antigene” è riferito a qualunque molecola complessa (proteica, lipidica, ecc.) o un peptide (frammento proteico composto da un numero limitato di aminoacidi) riconosciuti come estranei e potenzialmente pericolose dal sistema immunitario. Un antigene può avere diversi epitopi (determinanti antigenici) che possono essere riconosciuti separatamente.

Parlando di antigeni ci si riferisce solitamente agli antigeni esogeni, quelli espressi dagli agenti patogeni, ma ci sono anche gli antigeni endogeni (quelli espressi da cellule self). Si parla di tolleranza immunologica con riferimento alla capacità del sistema immunitario di non rispondere agli antigeni self (endogeni): quando ciò non succede si entra nel campo delle malattie autoimmuni, quando invece si ha una risposta eccessiva ad un antigene esogeno non patogenico (quali a esempio antigeni del cibo, pollini, ecc.) si parla di ipersensibilità/allergia.

È evidente che il presupposto di una risposta immunitaria è l’individuazione e il riconoscimento di un antigene tra le diverse migliaia di molecole circolanti e costitutive di cellule e tessuti. L’immunità innata e l’immunità adattativa utilizzano metodi molto diversi per il riconoscimento dell’antigene: l’immunità innata riconosce classi di antigeni mentre l’immunità adattativa riconosce antigeni specifici (con importanti differenze tra antigeni proteici e non proteici quali lipidi, polisaccaridi, ecc.).

Riconoscimento dell’antigene nell’immunità innata

Nell’immunità innata vengono riconosciuti dei “pattern” (profili) caratteristici degli organismi patogeni (PAMP – Pathogen-Associated Molecular Patters) (5) senza operare alcuna distinzione tra un organismo e l’altro: ad esempio i batteri Gram negativi presentano tutti dei lipopolisaccaridi (LPS), quindi riconoscere gli LPS è sufficiente per individuare un’infezione batterica e quindi attivare la risposta immunitaria. Analogamente alcuni recettori citoplasmatici sono in grado di riconoscere gli RNA virali a doppio filamento tipici di alcune specie virali: altri il mannosio, la lectina, ecc. Inoltre vengono riconosciuti, sempre in modo aspecifico, pattern tipici di danno cellulare (DAMP – Damage-Associated Molecular Patterns) che permettono l’attivazione dei meccanismi riparativi dei tessuti anche in condizioni non settiche.
Queste sostanze sono riconosciute da recettori che si trovano sulla superficie delle cellule fagocitarie, nel citoplasma o negli endosomi (dove i microrganismi fagocitati vengono degradati e distrutti); quando stabiliscono un legame con una di queste molecole attivano una serie di segnali interni che a loro volta stimolano la produzione di interferoni, citochine pro-infiammatorie, chemochine, ecc. con lo scopo di richiamare altre cellule immunitarie nel sito di infezione ed innescare la risposta. Sono stati identificati vari tipi e sottotipi di questi recettori ma in comune hanno la caratteristica di essere tutti uguali tra loro in ogni cellula che li esprime. Ciò implica che tali recettori vengono codificati per via germinale e questa è la principale differenza con i recettori dell’immunità adattativa.
Un altro, importante strumento di riconoscimento (nonché effettore), che si colloca “a metà strada” tra l’immunità innata e quella adattativa, è il sistema del complemento. Si tratta di un insieme di proteine plasmatiche prodotte in gran parte dal fegato che sono in grado di attivare una cascata enzimatica che porta all’opsonizzazione (ricopertura dell’agente patogeno che ne facilita la fagocitosi) o alla lisi del patogeno (MAC – Membrane Attack Complex).

L’immunità innata, attraverso i suoi diversi meccanismi non riconosce un singolo, specifico patogeno “di per sé” ma riconosce dei tratti distintivi comuni, tipici, caratteristici di molte classi di agenti infettivi (e di danno tissutale) e attiva immediatamente una risposta rapida, efficace e sempre della stessa entità a successive esposizioni (l’immunità innata “non impara”).

Riconoscimento dell’antigene nell’immunità adattativa

I recettori per gli antigeni nell’immunità adattativa sono “specifici” (6): cioè, ciascuno di essi è in grado di riconoscere solo un determinato antigene e non altri. Esistono due tipi di recettori: le immunoglobuline (Ig) per i linfociti B e i TCR (T Cell Receptor) per i linfociti T. Le immunoglobuline (Ig) o anticorpi sono presenti sia come recettori di membrana dei linfociti B che come proteine secrete in diverse isoforme . Mentre le Ig (di membrana o secrete) riconoscono un antigene in forma nativa (macromolecole, polisaccaridi, lipidi, carboidrati, piccole strutture chimiche, ecc.) i TCR riconoscono solo peptidi (un frammento di antigene proteico costituito da pochi aminoacidi) processati a livello cellulare ed esposti tramite particolari molecole di membrana dette MHC (Major Histocompatibility Complex).
Vi sono due tipi di queste molecole MHC: quelle di classe II sono espresse dalle cellule APC (Antigen Presenting Cells) professionali (soprattutto cellule dendritiche) e sono funzionali al meccanismo di presentazione ed attivazione dei linfociti, quelle di classe I sono presenti su tutte le cellule nucleate e normalmente esprimono antigeni self eccetto quando sono infettate da un patogeno intracellulare e in tal caso ne esprimono un peptide caratteristico: questo viene riconosciuto dai TCR dei linfociti T citotossici (CTL) attivati che provvede a distruggere il serbatoio di infezione. In entrambi i casi questi recettori hanno un’altissima specificità e ciò è la ragione per cui questi recettori non vengono sintetizzati per via germinale ma con un diverso meccanismo (selezione clonale).

Gli anticorpi (7), di membrana o secreti, sono formati da quattro catene polipeptidiche assemblate in forma di “Y”; due leggere (light chain o Fab) e due catene pesanti (heavy chain o Fc) identiche tra loro, ciascuna delle quali presenta una regione variabile che lega l’antigene e una costante che si lega con i recettori delle cellule fagocitarie: il doppio sito di legame con l’antigene conferisce stabilità ed avidità al legame. Vi sono diversi tipi di catene pesanti che differiscono nella regione costante e determinano la classificazione delle Ig in classi o isotipi: IgM, IgD, IgE monomeriche, IgA monomerica o dimerica, IgM pentamerica (IgM e IgD esistono anche quali Ig di membrana) con proprietà e funzioni effettrici diverse. Da notare che un clone B può produrre diversi isotipi (scambio isotipico) pur mantenendo la stessa specificità (le regioni variabili sono le stesse).

  • Gli antigeni sono molecole o parti di esse riconosciute come estranee dal sistema immunitario; solitamente ci si riferisce agli antigeni non-self, cioè molecole espresse da organismi non appartenenti all’organismo/patogeni ma ci sono anche antigeni self (espressi dal nostro organismo) e antigeni non-self non patogenici;
  • La risposta immunitaria agli antigeni self dà origine a patologie autoimmuni; la risposta eccessiva ad antigeni non-self/non patogenici dà origine a reazioni di ipersensibilità e allergie;
  • Nell’immunità innata vengono riconosciute “classi” di antigeni di origine batterica e virale da recettori codificati per via germinale: cioè tutti i recettori di uno stesso tipo sono identici in tutte le cellule che li esprimono;
  • Nell’immunità adattativa viene riconosciuto uno specifico antigene da uno specifico recettore; ogni cellula esprime virtualmente un recettore diverso. I recettori dell’immunità adattativa sono gli anticorpi (o immunoglobuline) di membrana e secreti per quanto riguarda i linfociti B, i TCR per quanto riguarda i linfociti T;
  • Le immunoglobuline riconoscono antigeni proteici e non proteici in forma nativa mentre i linfociti B riconoscono solo antigeni proteici processati dalle cellule ed espressi sulle molecole MHC. I recettori per l’antigene dei linfociti T helper e T citotossici sono leggermente diversi: i primi riconoscono gli antigeni processati dalle APC e presentati sul MHC di classe II mentre i secondi riconoscono gli antigeni presenti nelle cellule “normali” e presentati sull’MHC di classe I.

Immunità innata

I meccanismi di riconoscimento dell’antigene e i meccanismi effettori dell’immunità innata sono molto più semplici di quanto non siano quelli dell’immunità adattativa. Vengono riconosciute classi di antigeni (batterici e virali) e non antigeni specifici; non c’è l’espansione clonale (tutte le cellule immunitarie di uno stesso tipo sono identiche tra loro); non c’è memoria immunitaria e quindi la risposta è sempre della stessa entità. Inoltre, i recettori dell’immunità innata, per il fatto che riconoscono solo antigeni che sono strutturalmente “estranei” all’organismo non presentano il problema dell’autoreattività che invece può insorgere nell’ambito dell’immunità adattativa.
Nell’immunità innata sono centrali le barriere epiteliali e mucosali, sia in termini di barriere fisiche che di sostanze chimiche ad azione microbicida (defensine, catelicidine) da queste secrete, nonché da un particolare tipo di linfociti detti linfociti intraepiteliali (una classe particolare di linfociti T presenti soprattutto nelle mucose intestinali che grossolanamente si possono considerare una sottopopolazione di linfociti T che non richiedono attivazione).

Le cellule dell’immunità innata

I neutrofili rappresentano la popolazione più abbondante dei leucociti circolanti e il midollo osseo ne aumenta la produzione a seguito dell’azione di citochine (Granulocyte Colony-Stimulating Factors – GCSF) secrete da diversi tipi cellulari in presenza di infezione. Si tratta di cellule fagocitarie che vengono richiamate dal torrente circolatorio da particolari citochine (chemochine) e possono invadere i tessuti dove sono in grado di internalizzare microrganismi e/o cellule danneggiate. I neutrofili sono caratteristici dell’infezione acuta.
L’altra popolazione caratteristica è quella dei monociti/macrofagi: quando si trovano nel sangue sono detti monociti mentre quando migrano nei tessuti maturano in macrofagi: sono sempre cellule fagocitarie con capacità di presentazione dell’antigene e a differenza dei neutrofili hanno un’emivita più lunga. Esistono poi altre linee cellulari quali i mastociti (che rilasciano istamina e sono coinvolti nelle reazioni di ipersensibilità di tipo I) e le cellule dendritiche che sono fondamentali nella presentazione dell’antigene ai linfociti nel loro ruolo di APC.
Le cellule Natural Killer (NK) sono un particolare tipo di linfociti che secernono interferone di tipo I (una citochina che attiva processi antivirali nelle cellule) e agiscono analogamente ai linfociti T citotossici uccidendo le cellule infette con la particolarità che riescono a colpire quelle cellule che non esprimono il MHC di classe I in seguito a particolari disfunzioni ( es. neoplasie). L’azione citotossica delle NK è data dall’equilibrio tra un segnale inibitorio e uno attivatorio: quando la cellula non esprime il MHC I viene considerata infetta o comunque anomala e quindi distrutta con un meccanismo analogo a quello messo in atto dai CTL.

Il sistema del complemento

Il sistema del complemento (8) è costituito da un insieme di proteine circolanti (prodotte dal fegato) che in determinate condizioni innescano una serie di reazioni che portano all’opsonizzazione e alla distruzione di batteri e immunocomplessi: questo sistema si colloca funzionalmente tra l’immunità innata e quelle adattativa. Il sistema del complemento si attiva per tre “vie” diverse che convergono in una serie di azioni comuni:

A seguito dell’attivazione, si innesca una cascata enzimatica per cui alcune proteine ne tagliano altre che a loro volta costituiscono il substrato per le successive reazioni proteolitiche. Alcuni di questi frammenti proteici hanno azione chemiotattica (richiamano i neutrofili), altre agiscono come agenti opsonizzanti, altri ancora formano un complesso di attacco alla membrana (MAC) del batterio (o della cellula in casi patologici) che porta alla lisi cellulare.

L'nfiammazione

L’infiammazione (9) è la più evidente forma di reazione ad un danno tissutale ascrivibile all’azione combinata delle cellule dell’immunità innata, del sistema del complemento e di altre proteine infiammatorie (proteina C reattiva, amiloide sierica A, ecc.) e, nel caso, della cascata coagulativa.
L’infiammazione si manifesta con rossore, gonfiore, calore locale (prima che ipertermia) e dolore ed è dovuto inizialmente al rilascio di istamina e altri mediatori che favoriscono l’aumento del flusso di sangue e di permeabilità dei vasi nel sito di infezione/danno tissutale ed il reclutamento e la fuoriuscita dai capillari di cellule immunitarie. Le cellule residenti nei tessuti rispondono ai segnali di danno tissutale e/o alla presenza di microrganismi con la secrezione di citochine e chemochine che servono a richiamare dal torrente circolatorio altre cellule fagocitarie, in particolare neutrofili e monociti. Attraverso un meccanismo piuttosto complesso (rolling) le cellule fagocitarie circolanti aderiscono alle pareti dei vasi, la permeabilità dell’endotelio aumenta in modo da permettere alle cellule di fuoriuscire e localizzarsi nei tessuti interessati per espletare la loro azione fagocitica nei confronti dei microrganismi e delle cellule danneggiate.
L’infiammazione è un processo che deve essere strettamente controllato per evitare gravi danni tissutali. Macrofagi e cellule dendritiche svolgono un ruolo in questo senso in quanto producono sia citochine infiammatorie che antinfiammatorie che agiscono in un meccanismo di feedback.

La fagocitosi

La fagocitosi (10) è il processo per cui particolari tipi cellulari (sostanzialmente macrofagi, neutrofili, cellule dendritiche e linfociti B) riescono ad inglobare dei patogeni, cellule deteriorate o altre sostanze allo scopo di degradarli e/o presentarli ai linfociti per attivare la risposta adattativa. Nella fagocitosi il corpuscolo (un batterio, un virus, una particella solida) si lega a particolari recettori cellulari che nel caso delle cellule immunitarie possono essere recettori di opsonizzazione (riconoscono patogeni opsonizzati da Ig o complemento), recettori Toll-like, scavenger (recettori che legano molecole di origine batterica), le stesse Ig di membrana dei linfociti B. Realizzato il legame col recettore la membrana cellulare si invagina a racchiudere il corpuscolo fino a richiudersi su se stessa formando un vacuolo che si libera nel citoplasma e che prende il nome di fagosoma. Il fagosoma si fonde poi con delle vescicole che contengono enzimi litici e radicali liberi (ROS – Reactive Oxygen Species, monossido di azoto, ecc.) per poi maturare attraverso diversi stadi in fagolisosoma dove avviene la degradazione della particella internalizzata. Nelle cellule APC professionali, i suoi peptidi caratteristici vengono quindi esposti sulle molecole MHC di classe II al fine di attivare la risposta adattiva.
La fagocitosi è facilitata quando il microrganismo risulta opsonizzato, cioè ricoperto da anticorpi o frammenti del complemento. Vi sono dei casi in cui il processo di fagocitosi entra in crisi per via di strategie difensive e di evasione messe in atto da parte di alcuni patogeni (fuoriuscita dal fagosoma prima della fusione con i lisosomi, resistenza agli enzimi litici, ecc.) o perché la sostanza fagocitata è difficilmente degradabile (fagocitosi frustrata che innesca una risposta infiammatoria (11)).

  • La risposta immunitaria innata si avvale dell’azione di cellule quali neutrofili e macrofagi in grado di fagocitare agenti batterici e di un particolare tipo di linfociti (cellule NK) attive nella difesa antivirale attraverso la secrezione di interferone e con capacitò citotossiche ;
  • Un ruolo importante è quello del sistema del complemento, un insieme di proteine circolanti che attaccano i batteri e ne facilitano la fagocitosi attraverso l’opsonizzazione;
  • La manifestazione evidente della risposta innata è l’infiammazione ;
  • Le cellule dell’immunità innata e il sistema del complemento agiscono anche nell’ambito dell’immunità adattativa;
  • Con fagocitosi si intende il processo per cui le cellule fagocitarie riescono ad internalizzare patogeni e altre sostanze al fine di degradarle e/o presentarli ai linfociti per attivare la risposta adattativa;
  • La fagocitosi consiste in una invaginazione della membrana in cui viene racchiuso il corpo estraneo a formare una vescicola (fagosoma) che poi si fonde con altre vescicole (lisosomi) contenenti enzimi litici formando un fagolisosoma;
  • Il processo di fagocitosi e degradazione del patogeno è facilitato quando questo viene opsonizzato da frammenti del complemento o anticorpi.

MHC (Major Histocompatibility Complex)

Le molecole MHC (12) esistono in due conformazioni diverse dette di classe I e classe II. Gli MHC di classe I sono espressi da tutte le cellule nucleate dell’organismo e in condizioni normali espongono antigeni self (gli MHC con la tasca di legame “vuota” sono instabili) oppure espongono un peptide derivato da un patogeno intracellulare rendendole così riconoscibili da parte dei linfociti T citotossici. Gli MHC di classe II sono espressi da cellule con funzione APC – Antigen Presenting Cells ed espongono gli antigeni dei patogeni internalizzati al fine di attivare la risposta adattativa.
I peptidi presentati sulle MHC di classe I derivano dal citoplasma e vengono assembrate nel reticolo endoplasmatico mentre quelli presentati sugli MHC di classe II provengono dalle vescicole endocitiche e derivano dalla degradazione di patogeni (non self) fagocitati.

Le cellule sane del nostro organismo espongono sull’MHC di classe I un antigene self che viene ignorato dai linfociti T in quanto sono selezionati negativamente proprio per questo; quando però la cellula viene infettata da un patogeno (es. un virus), al netto dei meccanismi di evasione, riesce a “far conoscere” il proprio stato esponendo un peptide non-self derivato dal patogeno: in tal modo gli specifici linfociti T citotossici saranno in grado di riconoscere quella cellula come un serbatoio di infezione e distruggerla.
Nelle APC (cellule dendritiche, macrofagi, linfociti B) l’esposizione del peptide antigenico sulle molecole MHC di classe II ha lo scopo di attivare la risposta immunitaria attraverso l’interazione con i linfociti T helper (Th) che si traduce nell’espansione clonale dei linfociti B, la produzione di Ig, l’attivazione di meccanismi più potenti per l’eliminazione dei patogeni presenti nelle stesse APC, ecc.

I geni codificanti per MHC (HLA - Human leukocyte Antigen) sono polimorfi, cioè in una popolazione sono presenti diversi alleli (oltre 10.000) tanto da rendere improbabile che due individui esprimano lo stesso MHC. Queste differenze non sono frutto di ricombinazione genica come avviene per i ricettori dei linfociti ma sono trasmesse per via ereditaria in maniera codominante (vengono espressi in modo equivalente quelli di entrambi i genitori). Questa variabilità estende la nostra capacità, a livello di popolazione, di presentazione degli antigeni in quanto un certo MHC può essere in grado di presentare un antigene mentre un altro no. Anche questo aspetto risponde alla logica evolutiva che privilegia la popolazione all’individuo e aumenta la probabilità che, all’interno di una popolazione ci siano degli individui che riescono a rispondere a nuovo patogeno, garantendo così la sopravvivenza della specie.
Il fatto che gli MHC di due individui siano generalmente diversi costituisce la causa prima del rigetto deli organi trapiantati in quanto il sistema immunitario del ricevente considera non-self le cellule dell’organo trapiantato e scatena contro di esso la risposta immunitaria.

La regola generale è che le proteine internalizzate (e processate in peptidi) vengono presentate sugli MHC di classe II ai T helper che a loro volta attivano la risposta adattiva ma c’è un’importante eccezione detta cross-presentazione (cross-priming) (13) per cui alcune sottopopolazioni di cellule dendritiche sono in grado di attivare direttamente i linfociti T CD8+. Queste cellule dendritiche sono in grado di internalizzare cellule infettate e cellule tumorali/morte, trasportarle nel citosol e di qui al reticolo endoplasmatico dove legano molecole MHC di classe I che vengono presentate ai linfociti T CD8+ per l’attivazione. In tal modo possono aggredire le cellule malate senza ulteriori passaggi di presentazione/attivazione e lo stesso antigene può essere presentato contemporaneamente anche sull’MHC II per il riconoscimento da parte dei T helper.

  • Le molecole MCH (complesso maggiore di istocompatibilità) sono presenti in due conformazioni: gli MHC di classe I sono presenti su tutte le cellule nucleate mentre gli MCH di classe II sono presenti sulle APC;
  • Le MHC di classe I presentano antigeni self o peptidi antigenici quando sono infettate da un microrganismo permettendone in tal modo il riconoscimento da parte dei linfociti T citotossici; le MHC di classe II servono alla presentazione e all’attivazione della risposta adattiva ad opera dei linfociti T helper;
  • È improbabile che due individui presentino lo stesso MHC, questo perché i geni codificanti sono polimorfi e trasmessi per via ereditaria in modo codominante;
  • Esistono particolari casi in cui alcuni tipi di cellule dendritiche presentano antigeni non solo sul MHC di classe II ma anche su quelli di classe I dando luogo al cosiddetto cross-priming per l’attivazione dei linfociti T CD8+.

Recettori per via germinale e selezione clonale

I recettori dell’immunità innata (PRR – Pattern Recognition Receptor) riconoscono dei profili (pattern) molecolari caratteristici degli agenti patogeni (PAMP – Pathogen-Associated Molecular Patterns) o di danno cellulare (DAMP – Damage-Associated Molecular Patterns), sono collocati sulla membrana cellulare o nel citoplasma, esistono in una serie di tipologie ben definite e limitata: abbiamo i TLR che riconoscono i lipopolisaccaridi, la flagellina, gli RNA a doppia elica (virale), il mannosio, ecc.
Abbiamo quindi diversi tipi di recettore ma ogni recettore di uno stesso tipo è uguale per tutte le cellule che lo esprimono. Questi recettori vengono sintetizzati per via germinale, vi sono cioè dei geni che ne determinano la struttura.

Nell’immunità adattativa i recettori di uno stesso tipo (le Ig e i TCR) sono invece tutti diversi tra loro, specifici per un determinato antigene: possiamo avere centinaia di migliaia di TCR diversi predisposti per il riconoscimento di altrettanti antigeni possibili. Questa estrema diversificazione esclude la possibilità che vengano sintetizzati per via germinale in quanto non basterebbe l’intero genoma per codificare delle strutture così diversificate.

Prima che nel 1957 Macfarlane Burnet proponesse la teoria della selezione clonale si pensava che gli antigeni agissero come template per la successiva produzione di anticorpi specifici. In altri termini che gli anticorpi venivano prodotti “on demand”, ma questa ipotesi non spiegava la maggiore efficacia/rapidità della risposta secondaria.
In estrema sintesi la maturazione e proliferazione dei linfociti procede attraverso un meccanismo di ricombinazione genica che permette di ottenere una grande differenziazione casuale e successivi passaggi di selezione che permettono di eliminare i linfociti che esprimono recettori non in grado di legarsi correttamente con il MCH (selezione positiva) e quelli che risultano reattivi agli antigeni self (selezione negativa).
Abbiamo quindi un meccanismo che genera casualmente una estrema diversificazione (ricombinazione genica V(D)J) che viene in seguito “raffinata” eliminando quei linfociti che risultano inadatti a legarsi con il MHC e quelli pericolosi in quanto reattivi agli antigeni self.
Le cellule staminali ematopoietiche e i precursori linfoidi dispongono dei geni per codificare le regioni variabili (V, una quarantina di geni), le regioni costanti (C, pochi geni) e delle brevi sequenze codificanti dette J (Joining) e D (Diversity, quest’ultimo solo per i TCR). È attraverso un processo molto complesso di ricombinazione mediato da un particolare enzima presente solo nelle cellule linfoidi (ricombinasi VDJ) e di cambiamenti nelle sequenze nucleotidiche nei punti di giunzione tra i segmenti V, D e J durante il processo di ricombinazione (diversità giunzionale) che si ottiene questa l’estrema diversificazione delle Ig e dei TCR.
Questo processo genera però, fisiologicamente, molte sequenze che darebbero origine a cellule disfunzionali e ciò comporta la necessità di numerosi checkpoint per l’eliminazione delle cellule che esprimono recettori inutilizzabili: è il prezzo da pagare per poter ottenere una variabilità molto alta a fronte di pochissimi geni codificanti.

Il processo di maturazione per i linfociti B e T è analogo in linea di principio ma diverso in termini di organi coinvolti. I linfociti B, passando attraverso diverse fasi (pro-B, pre-B, B immaturo e B maturo) avviene nel midollo osseo (e in parte nella milza) e si conclude con i linfociti B maturi che esprimono sia IgM che IgD). La selezione positiva dei linfociti B avviene sulla base della capacità di riconoscere un antigene completo più ancora che per la sua specificità; c'è anche qui un processo di selezione negativa che permette di eliminare (o modificare attaverso un processo detto "editing recettoriale") quelli reattivi ai self. Quindi: selezione positiva per i recettori funzionanti e negativa per eliminare quelli anti-self.

I precursori dei linfociti T migrano dal midollo al timo dove avviene il processo di maturazione e selezione.
I linfociti che giungono nel timo sono detti doppio-negativi in quanto non esprimono né il CD4 né il CD8 (cluster di differenziazione), molecole di membrana che fungono da corecettori rispettivamente per il MHC di classe II (espressi dalle APC) e per il MHC di classe I (espressi dalle cellule nucleate). Queste cellule immature proliferano e quelle che esprimono un TCR funzionante sopravvivono esprimendo entrambi i corecettori CD4 e CD8 (linfociti doppio-positivi). Quelli che riconoscono l’MHC di classe I perdono il corecettore CD4 mentre quelli che riconoscono l’MHC di classe II perderanno il corecettore CD8 e manterranno il CD4: quelli che non riconoscono nessuna molecola MHC muoiono per apoptosi.
Al termine di questa fase, detta selezione positiva, avremo quindi dei linfociti singolo-positivi (CD4+ e CD8+) ma devono ancora essere sottoposti al processo di selezione negativa finalizzato ad eliminare quei linfociti con alta affinità agli antigeni self.
Il processo di selezione positiva e negativa sopra schematizzato si sostanzia nella maggiore o minore affinità con cui i linfociti legano le MHC di classe I e II presenti nel timo che possono essere "solo" self (i peptidi microbici sono concentrati nei linfonodi e non entrano nel timo). Quindi un riconoscimento a bassa affinità con MHC di classe I o II dà luogo ad una selezione positiva e alla produzione di linfociti CD8+/CD4+ naïve mentre la selezione negativa, che conduce all'apotosi è conseguenza di un riconoscimento ad alta affinità.

  • I recettori dell’immunità adattativa, le immunoglobuline o anticorpi dei linfociti B e i recettori dei linfociti T (TCR) sono tutti diversi tra loro, specifici per un determinato antigene e subiscono un processo di “selezione clonale”;
  • Una prima fase di ricombinazione genica (V(D)J) produce un numero altissimo di recettori diversi tra loro con una specificità casuale; in seguito vengono selezionate solo le cellule che presentano dei recettori “funzionanti” (selezione positiva) e successivamente solo quelle che presentano recettori insensibili agli antigeni self (selezione negativa);
  • Il processo di maturazione e selezione dei linfociti B avviene nel midollo osseo; quello dei linfociti T avviene nel timo; a valle del processo di selezione positiva e negativa abbiamo dei linfociti T CD4+ naïve e CD8+ naïve.

La presentazione dell’antigene nell’immunità adattativa

Le Ig di membrana presenti sui linfociti B, come le Ig secrete, sono in grado di riconoscere una vasta gamma di antigeni (proteine, lipidi, polisaccaridi, ecc.) mentre i TCR presenti sui linfociti T riconoscono solo peptidi proteici presentati su MHC e quindi la risposta umorale (essenzialmente mediata dai linfociti B) può insorgere in casi diversi rispetto a quella cellulo-mediata (mediata dai T). In molti casi, anche per rispondere ad uno stesso patogeno si rende necessaria sia la risposta umorale che cellulo-mediata: è ad esempio il caso dei virus che vanno contrastati mediante anticorpi quando si trovano negli spazi extracellulari ma devono anche essere eliminati i serbatoi di infezione (le cellule infette) tramite la risposta cellulo-mediata.

Ricordiamo che per un dato antigene esistono pochissimi linfociti in grado di riconoscerlo (indicativamente poche unità su un milione) e quindi è necessario un meccanismo che metta in contatto l’antigene con il linfocita specifico per attivare la risposta adattativa. Questo meccanismo vede primariamente coinvolte le cellule dendritiche quali APC “professionali”, i linfonodi e la milza quali siti di presentazione dell’antigene; infine i linfociti T CD4+ helper nel ruolo di attivatori della risposta adattativa con il coinvolgimento dei linfociti B e T CD8+.
Nei tessuti sottoepiteliali e nelle mucose (SALT Skin-Associated Lynphoid Tissue, MALT – Mucose-Associated Lynphoid Tissue) sono presenti le cellule dendritiche che sono in grado di internalizzare i patogeni che riescono a penetrare nell’organismo. Segue la secrezione di citochine (TNF, IFN I, interleuchine, ecc.) che hanno l’effetto di allentare il legame di queste cellule dal tessuto in cui risiedono e di permetterne la migrazione verso un linfonodo periferico (nell’uomo si contano circa 600 linfonodi) passando per i vasi linfatici afferenti. In questo tempo (12-18h) la cellula matura ed esprime in modo consistente molecole MHC di classe II su cui presentare un peptide caratteristico dell’antigene catturato ai linfociti. Un ruolo analogo ai linfonodi è svolto dalla milza dove le cellule dendritiche plasmacitoidi catturano gli antigeni presenti nel sangue. Il ruolo centrale dei linfonodi e della milza nella presentazione dell’antigene deriva proprio dalla necessità di concentrare in uno spazio fisico ridotto le APC e i linfociti aumentando in tal modo la probabilità che “quel” linfocita possa incontrare la APC che presenta il patogeno per cui è specifico: se non esistessero i linfonodi i linfociti avrebbero minime probabilità di incontrare le APC e quindi di avviare la risposta adattativa.
Le cellule dendritiche sono le principali e più potenti APC ma esistono anche altre linee cellulari che svolgono questo compito quali i macrofagi e i linfociti B oltre a cellule epiteliali, endoteliali, ecc. che sono dette APC non-professionali. L’interazione con la APC che presenta l’antigene rappresenta l’evento chiave per l’attivazione e la successiva proliferazione e differenziazione dei linfociti ma servono comunque altri segnali co-stimolatori: l’interazione tra molecole di superficie di APC e linfocita (CD4, CD28, ecc.) e l’azione di citochine stimolatorie secrete dall’APC.
Quando attivato il linfocita comincia a proliferare producendo molti altri cloni con la stessa specificità antigenica ma anche a differenziarsi in cellule effettrici e in cellule memoria.
Le APC interagiscono principalmente con i linfociti T CD4+ o T Helper (vengono così chiamati proprio per la loro funzione) che si differenziano in diverse sottoclassi (Th1, Th2, Th17, Th follicolari, ecc.) che hanno la capacità di secernere diverse citochine che caratterizzano la loro funzione per gli effetti di stimolo nella risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata ed in relazione ai diversi tipi di patogeni. Ad esempio, a seguito del riconoscimento di virus e batteri da parte delle APC i T helper si differenziano in Th1 che a loro volta attivano l’immunità cellulo-mediata; il riconoscimento di elminti e lieviti favorisce la differenziazione in Th2 attivi nello stimolo all’immunità umorale, ecc. In sintesi, le APC influenzano la differenziazione dei linfociti T CD4+ naïve attraverso particolari segnali (citochine) a loro volta conseguenza dei tipi di antigeni internalizzati.

  • L’innesco della risposta adattativa presuppone che l’antigene venga messo in contatto con il linfocita specifico in grado di riconoscerlo: questo processo è detto “presentazione dell’antigene” ed avviene ad opera delle cellule APC professionali (in particolare le cellule dendritiche);
  • Le APC professionali migrano e si concentrano nei linfonodi dove vi è maggiore possibilità di incontrare i linfociti specifici per quell’antigene;
  • L’antigene viene presentato sulle molecole MHC di classe II dalle APC dove viene riconosciuto dai linfociti T helper che danno inizio al processo di proliferazione e differenziazione dei linfociti effettori;
  • L’antigene viene anche riconosciuto quanto presentato sulle molecole MHC di classe I dai linfociti T citotossici.

Attivazione e meccanismi effettori nella risposta cellulo-mediata

I virus e alcuni tipi di batteri (es mycobatteri, rickettisi, ecc.) sono dei parassiti intracellulari obbligati, cioè devono necessariamente infettare una cellula per vivere e riprodursi; inoltre molti di essi riescono a sopravvivere all’interno dei fagosomi. La risposta cellulo-mediata si avvale dell’azione dei linfociti T CD4+ per rendere i fagociti più “efficienti” nel distruggere i microrganismi internalizzati o comunque agire in stimolo e sinergia con l’immunità innata e dei linfociti T CD8+ per distruggere le cellule serbatoio di infezione.

Come già accennato i linfonodi sono la sede fisica in cui avviene l’incontro tra le APC (cellule dendritiche) e i linfociti T CD4+ e CD8+ naïve (generati nel timo a seguito del processo di selezione clonale). Le cellule dendritiche catturano gli antigeni nei tessuti periferici e migrano nei linfonodi dove i linfociti circolano costantemente: quando un linfocita specifico per un dato antigene incontra la APC che lo presenta inizia il processo di proliferazione e differenziazione dopodiché le cellule attivate rientrano nel sistema circolatorio pronte ad esercitare le proprie funzioni effettrici. Quindi, i linfociti T naïve sono in grado di riconoscere l’antigene ma solo in seguito al processo di attivazione acquistano capacità effettrici.
L’attivazione (priming) dei linfociti CD4+ (helper) (14) vede come primo segnala scatenante il riconoscimento dell’antigene presentato sulle MCH II da parte delle APC ma è necessario un secondo segnale dato dal legame con molecole costimolatorie e dall’azione di diverse citochine.
L’attivazione dei linfociti T CD8+ segue un percorso analogo ma con significative differenze. È fondamentale il primo segnale dato dal riconoscimento dell’antigene che in questo caso deve però essere presentato sul MHC di classe I e questo avviene attraverso il meccanismo della cross-presentazione, sempre da parte delle cellule dendritiche e sempre nei linfonodi e/o in regioni specifiche della milza. Le cellule dendritiche hanno la capacità di fagocitare cellule infette da virus (o neoplastiche) e presentarne gli antigeni anche sul MHC di classe I a beneficio dei CD8+. Questo processo di attivazione, in molti casi ma non sempre, richiede il coinvolgimento dei linfociti T CD4+(15).
I linfociti T CD8+ naïve, in seguito all’attivazione, si differenziano e proliferano in CTL (cellule effettrici) e cellule della memoria; questo processo di espansione clonale è particolarmente rilevante per i CD8+ dove il numero di linfociti specifici può aumentare fino a 10.000 volte all’apice di una infezione virale (dopo circa 7 gg); nel caso dei CD4+ la magnitudo è nettamente inferiore e questo riflette il diverso ruolo dei Th rispetto ai CTL. I Th infatti secernono citochine a beneficio di molte altre cellule immunitarie mentre i CTL esplicano la loro azione legandosi uno ad uno con la cellula bersaglio.

In seguito all’attivazione, i linfociti CD4+ (detti anche T helper o Th) si differenziano in diverse sottopopolazioni funzionalmente distinte per le citochine che sono in grado di secernere e migrano nei tessuti periferici: le principali sottopopolazioni sono Th1, Th2 e Th17 che migrano nei tessuti periferici mentre i Tfh (linfociti T helper follicolari) si concentrano nei follicoli dei linfonodi dove concorrono all’attivazione dei linfociti B e alla conseguente produzione di anticorpi. I Th1 sono caratterizzati dalla capacità di secernere INF gamma e hanno come bersaglio i macrofagi; i Th2 secernono altre interleuchine che agiscono principalmente sugli eosinofili e i Th17 secernono IL-17 che agisce soprattutto sui neutrofili. Ognuna di queste sottopopolazioni è più o meno adatta a contrastare un certo tipo di patogeno e la differenziazione è guidata da diverse citochine secrete dalle APC in fase di attivazione dei T CD4+ naïve.

I linfociti Th1 attivati, riconoscendo i macrofagi che esprimono un peptide specifico sul proprio MHC di classe II e tramite un secondo legame (CD40L – CD40) riescono ad incrementare notevolmente le capacità fagocitiche del macrofago (attivazione classica) attraverso la secrezione di IFN-ɣ: questa citochina ha l’effetto di indurre la sintesi di proteasi lisosomiali, di specie reattive dell’ossigeno e ossido nitrico (ROS – sono composti caratterizzati da elevata attività ossidante) che portano alla distruzione del microrganismo fagocitato.

I linfociti Th2 si sviluppano in presenza di infezioni causate da parassiti pluricellulari (elminti). La strategia difensiva contro questi organismi prevede la stimolazione degli eosinofili, della peristalsi intestinale, dei linfociti B a produrre IgE che a loro volta favoriscono la degranulazione dei mastociti che colpiscono gli elminti. In questo processo sono coinvolti anche i macrofagi, non in funzione microbicida/pro-infiammatoria ma stimolandoli a secernere fattori di crescita dei fibroblasti (cellule del tessuto connettivo) che favoriscono i processi fibrotici e di riparazione tissutale: questa forma di attivazione dei macrofagi è detta attivazione “alternativa” in contrapposizione a quella “classica” dove si stimola la capacità microbicida.

È interessante notare come in questo caso i confini tra immunità cellulo-mediata, immunità umorale e immunità innata risultino particolarmente labili e sovrapponibili.

Il ruolo dei linfociti Th17, che si sviluppa nel corso di infezioni sostenute da fungi e batteri extracellulari, è quello di stimolare il processo infiammatorio e di reclutare i neutrofili e i monociti nonché di stimolare la secrezione di peptidi antimicrobici da parte delle cellule epiteliali. Anche qui è evidente l’interazione stretta tra immunità adattativa il meccanismo “principe” dell’immunità innata: l’infiammazione.

L’azione effettrice dei linfociti T CD4+ è dunque quella di attivazione delle cellule effettrici dell’immunità umorale (linfociti B => plasmacellule => anticorpi) e cellulo-mediata (linfociti T CD8+ => CTL) nonché di stimolo/rafforzamento dei meccanismi tipici dell’immunità innata.

I linfociti T attivati negli organi linfoidi devono poi migrare nei siti di infezione analogamente ad altri leucociti (es. neutrofili); da notare che il processo di migrazione interessa tutti i linfociti attivati indipendente dalla loro specificità; al sito di infezione vengono richiamati tutti i linfociti e poi vengono trattenuti solo quelli specifici. Raggiunto il sito, i linfociti T CD8+ (CTL) riconoscono le cellule infette che espongono il peptide per cui sono specifici sul loro MHC di classe I formando la cosiddetta sinapsi immunologica che determina una stretta adesione tra linfocita e cellula bersaglio. Tale stretta adesione permette al linfocita di indirizzare con precisione verso la cellula bersaglio la perforina per attaccare la parete cellulare e successivamente i granzimi (enzimi proteolitici) che sono in grado di indurre il processo apoptotico nella cellula bersaglio che porta normalmente alla distruzione dei microrganismi intracellulari e alla successiva distruzione dei detriti da parte delle cellule fagocitarie. Una volta indotta l’apoptosi il linfocita si distacca dalla cellula e procede alla ricerca di altri obiettivi.

  • L’attivazione e la conseguente proliferazione e differenziazione dei linfociti T CD4+ e CD8+ naïve avviene nei linfonodi e nella milza grazie alla capacità di presentazione dell’antigene da parte delle cellule dendritiche;
  • I linfociti T CD4+ riconoscono gli antigeni presentati sui MHC di classe II mentre i linfociti T CD8+ riconoscono gli antigeni grazie al meccanismo della cross-presentazione, generalmente con il concorso dei CD4+;
  • I linfociti T helper si differenziano in diverse sottopopolazioni (Th1, Th2, Th17, Tfh) che migrano nei tessuti o restano nei linfonodi e sono in grado di attivare e/o stimolare particolari linee cellulari ;
  • I Th nel loro insieme esercitano una funzione di attivazione nei confronti dei linfociti B e T CD8+ ma anche di stimolo nei confronti di cellule dell’immunità innata (macrofagi, mastociti, ecc.);
  • I linfociti T CD8+ attivati (CTL) migrano nei tessuti ed esercitano la loro azione citotossica legandosi alle cellule che espongono il peptide antigenico per cui sono specifici ed inducendo il processo apoptotico.

Attivazione e meccanismi effettori nella risposta umorale

L’immunità umorale è quella componente dell’immunità adattativa che agisce contro microrganismi e tossine presenti negli spazi extracellulari ed è demandata agli anticorpi (proteine secrete in grado di legare antigeni anche di natura non proteica).

Ricordiamo che le immunoglobuline di membrana (IgM e IgD) presenti sui linfociti B permettono di riconoscere una vasta gamma di antigeni comprendenti anche lipidi, polisaccaridi, acidi nucleici, ecc. in forma nativa e non necessariamente processati (come accade invece per i linfociti T che sono in grado di rilevare solo antigeni proteici presentati sugli MHC): si ha quindi un diverso tipo di risposta a seconda che l’antigene sia di natura proteica o meno.

È anche importante ricordare che la risposta umorale cambia significativamente tra la prima e le successive esposizioni e non solo in termini di prontezza (5-10 gg la risposta primaria, 1-3 gg la secondaria) e ampiezza ma anche di prevalenza degli isotipi (nella primaria prevalgono le IgM, nella secondaria le IgG e altri isotipi) e affinità (bassa nella primaria, alta nella secondaria).

Analogamente alla risposta cellulo-mediata, linfonodi, milza e organi linfoidi associati alle mucose sono le sedi in cui l’incontro tra un antigene e il linfocita B ad esso specifico dà inizio alla risposta umorale. Il riconoscimento dell’antigene avviene in forma nativa da parte delle immunoglobuline di membrana anche con il concorso di frammenti del complemento e/o l’ingaggio di TLR (recettori tipici dell’immunità innata anche presenti sui B) che, innescando una serie di segnali intracellulari, portano all’attivazione del linfocita naïve. Il linfocita B così attivato inizia una modesta proliferazione e sintesi di IgM di membrana e secretorie. La stimolazione diretta dell’antigene è quindi sufficiente ad attivare la risposta umorale precoce, che è più intensa nel caso degli di antigeni non proteici (es. polisaccaridi) che inducono il cross-linking (ingaggio di più IgM di membrana di uno stesso linfocita), l’attivazione dei recettori TLR e del complemento (frammento C3d-CR2). Gli antigeni proteici solubili, mancando di epitopi ripetuti, non inducono il cross-linking e da soli non riescono a stimolare una proliferazione e differenziazione adeguata ma comunque inducono nel linfocita B naïve la capacità di interagire con i linfociti T helper.
La risposta umorale T-dipendente presuppone l’incontro di un linfocita B e un linfocita T CD4+ attivati con la stessa specificità e ciò avviene in particolari aree dei linfonodi. Da un lato i linfociti T CD4+ si attivano interagendo con le cellule dendritiche, dall’altro i linfociti B si attivano (debolmente) interagendo direttamente con l’antigene per poi migrare gli uni verso gli altri (nell’area parafollicolare). I linfociti B internalizzano l’antigene e lo presentano sulle MHC di classe II agendo come delle APC; i linfociti T helper, in particolare i Tfh, riconoscono l’antigene presentato dai linfociti B e ne inducono la completa attivazione attraverso la secrezione di particolari citochine in modo simile a quanto avviene per la stimolazione dei macrofagi.
L’attivazione T dipendente è caratterizzata da importanti aspetti: lo scambio isotipico e la maturazione dell’affinità. Lo scambio isotipico consiste nel produrre anticorpi di classe diversa (IgG, IgM, IgE, ecc.) che hanno la stessa affinità per l’antigene ma “conformazione” diversa (monomeriche, dimeriche, pentameriche, ecc.) e tale diversa conformazione li rende più o meno adatti a contrastare un determinato tipo di patogeno (ad es. le IgG sono più adatte per l’opsonizzazione, le IgE per stimolare gli eosinofili, le IgM attivano il complemento, ecc.). Lo scambio isotipico è innescato da stimoli conseguenti al legame con un recettore dei Th (CD40-CD40L) e da citochine che vanno ad agire a livello genico.
Il processo di maturazione dell’affinità si riferisce alla capacità dei linfociti B di produrre anticorpi con maggiore capacità di legame (affinità) con l’antigene proteico nel corso di infezioni ripetute o prolungate. I linfociti che proliferano nei centri germinativi dei linfonodi vanno incontro a mutazioni geniche puntiformi (ipermutazione somatica) e ad un processo di selezione che elimina le cellule con minore affinità inducendone l’apoptosi.
Le cellule B che producono anticorpi ad alta affinità entrano in circolo (plasmablasti) e si insediano nel midollo (plasmacellule a lunga sopravvivenza) dove continuano a produrre anticorpi per molto tempo (anni) anche quando è cessato lo stimolo antigenico. Una parte di queste cellule si differenzia in cellule B memoria che non secernono anticorpi ma restano in circolo o presidiano i diversi tessuti e le mucose.

L’intervento dei linfociti T helper, lo scambio isotipico e la maturazione dell’affinità riguardano gli antigeni proteici mentre per quelli non proteici (polisaccaridi, lipidi, ecc.) l’attivazione (cross-linking) e la risposta anticorpale assume caratteri diversi (risposta T-indipendente): le plasmacellule sono a sopravvivenza limitata, lo scambio isotipico e maturazione dell’affinità nulla o minima, la memoria limitata solo agli antigeni polisaccaridi; la risposta T-indipendente è correlata è correlata maggiormente all’azione del complemento.

La soppressione della risposta umorale non avviene solo in seguito all’apoptosi delle cellule producenti anticorpi ma grazie ad un meccanismo detto di feedback anticorpale. Gli anticorpi secreti legano gli antigeni formando immunocomplessi e i linfociti B posseggono un recettore che è in grado di legare l’anticorpo complessato (frammento Fc) e produce segnali inibitori all’ulteriore produzione di anticorpi: quando ci sono in circolo abbastanza immunocomplessi si riduce quindi la produzione di anticorpi.

  • L’immunità umorale è quella componente dell’immunità adattativa che è in grado di contrastare patogeni di natura proteica e non proteica presenti negli spazi extracellulari grazie all’azione degli anticorpi secreti dai linfociti B;
  • La risposta T-dipendente riguarda i linfociti proteici, richiede l’intervento dei T helper per l’attivazione dei linfociti B; la risposta T-indipendente riguarda gli antigeni non proteici (lipidi, polisaccaridi, ecc.) che sono in grado di attivare in modo compiuto i linfociti B attraverso il meccanismo del cross-linking;
  • La risposta T-dipendente dà luogo ad anticorpi con alta affinità (maturazione dell’affinità) e di tipo diverso (scambio isotipico) che vengono prodotti dalle plasmacellule residenti nel midollo e in altri tessuti per un tempo molto lungo; la risposta T-indipendente dà luogo ad anticorpi a bassa affinità che perdurano per tempo minore;
  • La risposta umorale è molto più forte in termini di ampiezza, rapidità e specificità in seguito ad esposizioni successive di uno stesso patogeno;
  • La soppressione della risposta umorale è caratterizzata da un meccanismo detto feedback anticorpale che consiste nell’induzione di segnali inibitori quando i linfociti legano un immunocomplesso.

La memoria immunitaria

La memoria immunitaria(16), cioè l’evidenza che una successiva esposizione ad uno stesso antigene ha degli effetti clinici molto più lievi o assenti rispetto alla prima esposizione era già stato ipotizzato ai tempi dei greci ed è stata l’intuizione su cui a fine ‘700 Jenner effettuò la prima vaccinazione contro il vaiolo e tuttora è la base del successo dei programmi vaccinali.
La memoria immunitaria presuppone che esistano popolazioni di linfociti B e T antigene-specifici a lunga persistenza e/o che si rinnovano in una logica omeostatica in assenza dello stimolo antigenico.
I linfociti B naïve, in seguito alla stimolazione vanno incontro ad espansione clonale: una parte dà origine a plasmacellule secernenti anticorpi con una breve emivita (2 settimane), un’altra parte produce plasmacellule a lunga emivita che migrano nel midollo e cellule B memoria che si rinnovano mantenendo costante la popolazione.
È anche stato dimostrato che un certo numero di linfociti T, CD4+ e CD8+ persistono in assenza di stimoli antigenici. Le cellule della memoria persistono negli organi linfoidi, nei tessuti periferici (in particolare cute e mucose) e in circolo e possono essere rapidamente riattivate rispondendo in modo più potente e rapido rispetto alle cellule naïve.

  • La memoria immunitaria è il principale carattere distintivo della risposta adattativa e consiste nella persistenza di cellule specifiche anche in assenza dell’antigene che sono in grado di reagire prontamente ad una successiva esposizione.

Sistema immunitario mucosale

Le mucose del tratto respiratorio (naso, bronchi), del sistema gastrointestinale (intestino), del sistema sensoriale (congiuntiva, orecchio), della laringe, del tratto urogenitale, presentano esigenze, caratteristiche fisiologiche e una presenza di cellule e tessuti linfoidi particolari che costituiscono un distinto compartimento del sistema immunitario (17).
Le mucose subiscono una forte pressione antigenica non solo da parte dei patogeni ma anche da parte di antigeni innocui derivati dal cibo o dall’aria che respiriamo (es. i pollini) e da quelli derivati dagli organismi commensali (batteri, funghi, virus che costituiscono il microbiota intestinale). La risposta immunitaria deve quindi essere effettiva verso gli organismi patogeni ma tollerante verso questi antigeni, che pure essendo non-self non sono affatto pericolosi ma al contrario utili e necessari: la risposta aberrante verso questi antigeni è causa di allergie e/o di malattie infiammatorie (es. IBD).
Il sistema mucosale (MALT – Mucose-Associated Lymphoid Tissue) con le sotto-caratterizzazioni di quello bronchiale, intestinale, ecc. (BALT, GALT, NALT) presenta una serie di particolarità fisiologiche importanti. Solo a titolo di elenco vanno menzionate le cellule M che permettono la transcitosi di antigeni dal lume intestinale verso la lamina propria, le placche di Peyer, gli organi linfoidi sottomucosali molto diffusi nell’intestino tenue, le cellule di Paneth che rilasciano peptidi antimicrobici, la diffusa presenza di ILC ( linfociti intraepiteliali )(18). Il sistema immunitario mucosale presenta caratteristiche uniche per quanto riguarda la presentazione degli antigeni, la presenza di macrofagi e cellule dendritiche con proprietà particolari (cellule dendritiche semi-mature) la secrezione di IgA dimeriche (che normalmente sono monomeriche) nel lume allo scopo di controllare la flora batterica, il bilanciamento tra citochine pro e antinfiammatorie, ecc.

  • Le mucose (dell’intestino, del sistema respiratorio, ecc.) presentano elementi che ne determinano una peculiarità. In questi tessuti si ha una compresenza di antigeni effettivamente patogeni ma anche di antigeni non self non patogeni (es. le molecole del cibo, i pollini, ecc.) e di antigeni derivanti da microrganismi commensali (microbiota). Il sistema immunitario mucosale deve ovviamente reagire agli antigeni patogeni ma non agli altri che pure sono dei non-self e ciò si riflette nella presenza di particolari linee cellulari e tessuti

Controllo e soppressione della risposta immunitaria

In risposta ad una infezione si assiste ad una crescita importante del numero di cellule immunitarie circolanti, alla secrezione di moltissime citochine, all’infiltrazione dei tessuti di cellule effettrici, ecc. Tutto questo, che generalmente porta a forme infiammatorie più o meno severe, è necessario in presenza di infezione ma, quando i patogeni che hanno scatenato la risposta sono stati debellati, il sistema immunitario deve rientrare in una condizione di omeostasi.
Diversi meccanismi concorrono alla soppressione della risposta immunitaria.
Primariamente la rarefazione degli antigeni è di per sé un fattore soppressivo in quanto diminuendo la probabilità di cattura/presentazione e attivazione si limita la produzione di nuove cellule effettrici e la secrezione di citochine pro-infiammatorie; inoltre solo una parte delle cellule B e T ha una lunga sopravvivenza e anche questo concorre a limitare fisiologicamente la risposta.
Le Ig secrete che si legano agli anticorpi formano degli immunocomplessi e si può creare un doppio legame con i linfociti B attraverso le Ig di membrana e attraverso un recettore per la catena pesante (FcyRIIB): questo legame genera dei segnali che inibiscono l’ulteriore produzione di anticorpi (feedback anticorpale). Inoltre, in seguito della fagocitosi degli immunocomplessi, ad esempio da parte dei macrofagi, questi secernono citochine antinfiammatorie.
Il controllo della risposta cellulo-mediata è affidato principalmente ai linfociti T regolatori (Treg), una sottopopolazione dei T CD4+ CD25+. Queste cellule giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione dei fenomeni autoimmuni e allergici, nella tolleranza al feto , nella regolazione delle risposte immunitarie. Le Treg sono in grado di agire in senso soppressivo nei confronti dei linfociti B e T, delle NK e delle cellule dendritiche secondo vari meccanismi non del tutto elucidati(19).

Infine, non dobbiamo dimenticare l’interazione esistente tra sistema neuroendocrino e sistema immunitario(20): si tratta di un complesso network di mediatori chimici, che fino a qualche decennio fa veniva considerato marginale e che mette in relazione il sistema endocrino, il CNS e il sistema immunitario. Senza addentrarsi oltre basti ricordare che sono alcune citochine pro-infiammatorie ad influire sul sistema ipotalamico inducendo la febbre e l’azione immunosoppressiva esercitata dai glucocorticoidi.

  • La risposta immunitaria comporta un aumento anche imponente del numero di leucociti, la secrezione di svariate citochine pro-infiammatorie e l’innesco di fenomeni quali l’infiammazione che devono rientrare una volta debellata l’infezione;
  • Esistono diversi meccanismi che sono in grado di riportare l’omeostasi del sistema: si ricordano tra questi il feedback anticorpale, i linfociti T regolatori e il sistema neuroendocrino.

Tolleranza (centrale e periferica) e autoimmunità

Una caratteristica cardine del sistema immunitario adattativo è quella di essere tollerante agli antigeni self e altri antigeni non-self (es. microbioma, feto) non dannosi: la perdita di questa tolleranza è la causa delle malattie autoimmuni, spesso molto gravi.
Di definisce “tolleranza” la mancata risposta di un linfocita in seguito all’esposizione ad un antigene non patogeno. La tolleranza centrale è quella che si instaura durante la maturazione dei linfociti dove, in seguito al processo di selezione negativa vengono eliminati i linfociti auto-reattivi (il meccanismo di ricombinazione casuale V(D)J porta infatti alla generazione anche di linfociti sensibili ai self); la tolleranza periferica è quella che si instaura nei tessuti e nei linfonodi.
Il processo di selezione negativa porta all’eliminazione dei linfociti T autoreattivi e all’editing recettoriale che cambia la specificità per i linfociti B. La tolleranza periferica si rende necessaria per due ragioni: intanto perché alcuni linfociti sfuggono “fisiologicamente” ai meccanismi di tolleranza centrale, secondariamente perché nei tessuti si possono incontrare degli antigeni self che non erano presenti nel timo e quindi i linfociti specifici per tali antigeni hanno potuto superare il processo di selezione negativa.

L’esposizione di un antigene self da parte delle APC comporta l’assenza di costimolazione, il secondo segnale necessario all’attivazione dei linfociti naïve: questo meccanismo porta all’anergia, cioè alla mancata trasduzione del segnale da parte del TCR e in definitiva a rendere inefficace il linfocita. I linfociti Treg attraverso diversi meccanismi (secrezione di particolari citochine inibitorie, consumo di citochine stimolatorie ecc.) riescono ad inibire le funzioni effettrici dei linfociti T (ma anche dei B e delle NK). In altri casi ancora, in assenza di costimolazione il linfocita può andare incontro ad apoptosi. I linfociti B sono sottoposti a meccanismi analoghi di tolleranza centrale e periferica.

Esistono poi due circostanze in cui in nostro sistema immunitario deve essere tollerante pure in presenza di antigeni non-self: il microbioma e il feto (l’MHC del feto è tipicamente diverso da quello della madre e teoricamente dovrebbe indurre al rigetto come nei trapianti d’organo). Su questi aspetti si ipotizza un ruolo centrale dei Treg ma i meccanismi non sono ancora stati del tutto chiariti.

Le malattie autoimmuni (ad esempio l’artrite reumatoide, il lupus, ecc.) derivano da una disfunzione dei meccanismi di tolleranza e possono essere sia di origine genetica che infettiva/ambientale secondo meccanismi non del tutto chiariti.

  • La tolleranza immunologica è quella caratteristica dell’immunità adattativa per cui i linfociti sono reattivi agli antigeni patogeni ma non agli antigeni non-self / non patogenici;
  • Vi è un meccanismo di tolleranza centrale che interessa i linfociti in fase di maturazione e che comporta l’eliminazione di quelli auto-reattivi (selezione negativa) e una tolleranza periferica che interessa i linfociti che sfuggono al “filtro” della tolleranza centrale e che permette di controllare la risposta verso i non-self non patogenici.

Reazioni di ipersensibilità

Sia le reazioni di ipersensibilità che di autoimmunità provocano un danno tissutale/d’organo ma sono due fenomeni molto diversi: nelle reazioni autoimmuni il danno deriva da una risposta immunitaria rivolta ad antigeni self mentre nelle reazioni di ipersensibilità il danno deriva da una risposta eccessiva e incontrollata ad antigeni non-self e/o antigeni non dannosi. Le reazioni di ipersensibilità si distinguono in quattro categorie:

  • Sia le malattie autoimmuni che da ipersensibilità portano a danni tissutali e sistemici anche estremamente rilevanti ma l’eziologia è completamente diversa: nell’autoimmunità si ha una risposta verso antigeni self mentre nelle reazioni di ipersensibilità si ha una risposta abnorme ad antigeni non-self non dannosi;
  • Classicamente si distinguono quattro tipi di reazioni da ipersensibilità: quella immediata (tipo I) che può portare all’anafilassi ed è IgE mediata; quelle citotossiche o da immunocomplessi mediate entrambe da anticorpi (tipo II e III) ed infine quella ritardata (tipo IV) mediata dai linfociti T.

Fonti:

Roberta Di Maggio, DVM; referente dell’Unità Op. Medicina Interna; OVUD, Padova

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