Immunodeficienza felina (FIV)

23/05/2019

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Il FIV è una malattia infettiva felina (e di molte altre specie appartenenti alla famiglia Felidae quali leoni, puma, leopardi, ecc.) causata da un retrovirus dello stesso genere dell’HIV umano che può causare una serie di patologie solo in parte sovrapponibili al FeLV ma di minore severità. A differenza del FeLV il contagio tra gatti conviventi è piuttosto raro e l’aspettativa di vita dei gatti FIV è del tutto paragonabile a quello di un gatto sano; non raramente un gatto FIV positivo può morire in età avanzata per cause non correlabili al FIV.

Eziologia, epidemiologia e trasmissione

Il FIV è un retrovirus, appartenente alla famiglia dei lentivirus, enveloped, ad RNA a senso positivo(1), diploide appartenente alla famiglia lei lentivirus che presenta un marcato tropismo verso i linfociti T CD4+ (T helper), i macrofagi e le cellule dendritiche; causa immunodeficienza, cioè un deficit funzionale dell’immunità adattativa nella sua componente umorale e cellulo-mediata. Appartiene allo stesso genere e condivide molte caratteristiche dell’HIV: da qui l’interesse verso questa patologia felina che è stata molto studiata anche come modello animale dell’AIDS. Da rimarcare che il FIV non può contagiare gli esseri umani o altre specie di animali.

Il FIV è un retrovirus complesso che contiene geni accessori oltre a Gag, Pol, Env il gene Gag codifica la proteina p24 (i normali test diagnostici riconoscono gli anticorpi contro questa proteina) mentre il gene Env codifica le proteine di transmembrana tra cui la gp120 e la gp41 che è il principale determinante di diversità tra i diversi isolati. I geni più stabili tra i diversi ceppi sono il Gag e il Pol.

Il FIV (e il FeLV) appartengono alla famiglia Retroviridae che, oltre al noto HIV, comprende molte altre specie che colpiscono mammiferi, pesci, rettili, uccelli. Si tratta di virus ad RNA che hanno la caratteristica di integrarsi col genoma dell'ospite inducendo malattie neurologiche, immunodeficienza, patologie infiammatorie e neoplasie: il virus del sarcoma di Rous, il primo virus oncogenico scoperto nel 1911 era appunto un retrovirus.
I retrovirus si legano a specifici recettori ed entrano nella cellula per fusione con la membrana cellulare o in alcuni casi per endocitosi. Penetrato nel citoplasma il virione perde l'envelope e il capside liberando il materiale genetico che è costituito essenzialmente da due coppie di RNA(+) e dagli enzimi di trascrittasi inversa e di integrasi. Utilizzando un tRNA di origine cellulare (veicolato dal virione) come primer, si innesca il processo di trascrizione inversa che porta alla formazione di un cDNA (DNA complementare) a doppia elica e alla degradazione del RNA virale. Il DNA virale a doppia elica così ottenuto deve penetrare nel nucleo: alcuni retrovirus riescono a penetrare la membrana nucleare mentre altri devono sfruttare la mitosi (quando si dissolve temporaneamente la membrana nucleare) per potersi integrare, grazie all’enzima integrasi virale, con il DNA nucleare in un punto generalmente casuale. Il DNA virale integrato nel DNA della cellula è detto provirus. Completato il processo di integrazione si avvia il processo di replicazione che, utilizzando i meccanismi cellulari, porta alla produzione delle diverse proteine strutturali e funzionali e alla duplicazione dell’RNA virale. L’assemblaggio delle diverse componenti avviene nel reticolo endoplasmatico e nel Golgi; il virione esce poi dalla cellula per gemmazione.
In sintesi: i retrovirus hanno la caratteristica unica di convertire il loro RNA in DNA (meccanismo che contrasta con il "dogma" della biologia: DNA->RNA->proteine), integrarlo nel DNA cellulare per poi svilupparsi in una sorta di simbiosi con la cellula, generalmente senza attivare un ciclo litico.

La presenza di un RNA diploide rappresenta un elemento funzionale alla ricombinazione genica e, si suppone, ai processi riparativi(1a). L’enzima retrotrascrittasi agisce sui due filamenti potendo “saltare” da uno all’altro (template switching) e produrre così un cDNA contenente potenzialmente sequenze da due filamenti. Da notare che, nel caso di infezioni multiple, questo processo può coinvolgere RNA provenienti da virioni di ceppi diversi per cui si generano virioni “eterozigoti”.
I retrovirus dispongono quindi di due meccanismi evolutivi: le normali mutazioni in conseguenza dell’intrinseco meccanismo “error prone” di trascrittasi inversa e in conseguenza della ricombinazione che può dare luogo ad una sorta di “virus figlio” con un patrimonio genetico di diversi “genitori”.
I retrovirus possono indurre oncogenesi in diversi modi. L’inserzione del provirus nel DNA nucleare è mutageno per definizione in quanto costituisce una alterazione del patrimonio genetico che viene trasmesso per mitosi e/o può essere trasferito alla progenie quando vengono infettate cellule della linea germinale. Sono stati individuati diversi meccanismi oncogenici: ad esempio quando il sito di inserzione del provirus è adiacente ad un gene proto-oncogeno (1b) si ha una alterazione della regolazione di questi geni che può portare alla trasformazione neoplastica della cellula ospite.
Nel corso del tempo, l’integrazione dei retrovirus nel genoma della cellula ospite ha rappresentato non solo un meccanismo di infezione ma la possibilità per questi retrovirus di perpetuarsi nelle cellule germinali di quasi tutte le specie animali attraverso un meccanismo ereditario mendeliano. Le tecniche di sequenziamento del genoma hanno infatti dimostrato l’origine virale di molti degli elementi trasponibili del genoma. Sebbene questi retrovirus endogeni non siano generalmente in grado di produrre particelle infettive non si può escludere una qualche loro influenza nelle cellule in cui sono presenti: questi effetti, come il fatto che i retrovirus esogeni siano evoluti da quelli endogeni o viceversa è un campo ancora molto enigmatico e controverso.

Il FIV è diffuso in tutto il mondo in 6 sottotipi(2) denominati A, B, C, D, E ed F: i sottotipi più diffusi in Europa sono A, B, C e D con il sottotipo A predominante nei paesi centro-settentrionali e il B in quelli meridionali. Nelle infezioni naturali si possono avere più sottotipi ospitati in un singolo soggetto e queste superinfezioni indicano la carenza di protezione crociata; inoltre ci sono evidenze di ricombinazioni relativamente al gene codificante l’envelope(3) che ha rilevanza clinica in quanto influenza il tropismo e la patogenicità del virus.

I dati indicano una maggiore prevalenza del FIV tra i gatti di colonia e in particolare tra i maschi adulti non castrati come conseguenza dei morsi nei combattimenti. Il virus si trasmette principalmente con l’inoculazione di saliva e sangue infetti attraverso tutte le vie parenterali. La trasmissione verticale (in utero o post-parto) da madre a cuccioli è possibile(4) ma non è così frequente in quanto dipende dalla carica virale della madre durante la gravidanza e l’allattamento (il virus è presente nel latte): nelle gatte con infezione acuta il rischio di trasmissione è relativamente elevato mentre è molto raro nelle gatte con infezione latente. Anche per la durata relativamente breve della fase acuta comparata con durata della fase latente la trasmissione verticale del FIV è considerata, in natura, un evento piuttosto raro. Sebbene sia stato dimostrato sperimentalmente che il FIV può essere trasmesso per via orale, rettale e intravaginale (oltre che per via parenterale) non vi sono evidenze dell’importanza di queste modalità di trasmissione in condizioni non sperimentali.

La trasmissione orizzontale in gattili dove i gatti sono sterilizzati e non si registrano comportamenti aggressivi è un evento raro: in uno studio(5) in cui, a distanza di anni, è stata valutata l’insorgenza di nuovi casi di FIV per trasmissione orizzontale e verticale ha dato risultati negativi. La possibilità di trasmissione tra gatti FIV positivi e gatti sani coabitanti è dunque da considerare improbabile – anche se non nulla - purché ovviamente i gatti siano sterilizzati e non si instaurino comportamenti aggressivi (ferite profonde da morso) dovuti a stress, dispute territoriali o ad altri disturbi comportamentali. Un altro studio(6) in cui sono stati seguiti gatti FIV in contesto casalingo e di gattile per circa due anni ha evidenziato come l’aspettativa di vita e lo stato di salute dei gatti FIV che vivono da soli o in piccoli gruppi in contesti casalinghi è nettamente superiore a quella di gatti che vivono in gattili (probabilmente a causa del forte carico infettivo tipico di questi ambienti).

Il FIV si trasmette attraverso le trasfusioni quindi i donatori devono essere preventivamente testati (ricordiamo che, per quanto riguarda il FeLV, i gatti devono essere DNA provirus negativi e non solo negativi ai normali test antigenici). Da ricordare che gli anticorpi FIV sono normalmente rilevabili solo a 60 giorni dall’infezione ma anche oltre in alcuni casi.
A differenza del FeLV dove è ampiamente documentata la regressione dell’infezione (DNA provirus positivo, antigene negativo), non ci sono altrettante evidenze di una condizione analoga nel FIV: a conoscenza dell’autore esiste un unico studio(7) in cui si evidenzia, nella trasmissione verticale, la presenza del provirus nei linfonodi in assenza di risposta anticorpale.
Il FIV è un virus facilmente inattivabile con comuni disinfettanti (compreso il sapone), sopravvive solo pochi minuti nell’ambiente e non c’è il rischio di trasportarlo attraverso scarpe e vestiti: questi dati associati al fatto che la trasmissione orizzontale è molto rara porta ad affermare che il rischio di contagio tra gatti FIV e sani conviventi non aggressivi certamente esiste ma è piuttosto basso.

Da notare infine che la maggior parte dei gatti FIV non sviluppa le diverse e serie patologie (neoplasie, disordini neurologici, ecc.) che invece si sono riscontrate nei tanti studi sperimentali condotti su questa malattia: questa dicotomia nel decorso di infezioni naturali e infezioni sperimentali non è al momento chiarita(8).

Il FIV è un retrovirus felino (dello stesso genere dell'HIV) diffuso in tutto il mondo è presente in 6 diversi sottotipi; caratterizzato da un tropismo ("predilezione") verso i linfociti T CD4+ e altri tipi di cellule immunitarie causa immunodeficienza; non è contagioso né per gli umani né per altre specie animali. Colpisce prevalentemente i gatti maschi di colonia come conseguenza dei morsi nei combattimenti; la trasmissione verticale da madre a cuccioli è possibile ma poco frequente (solo nella fase di infezione acuta). La trasmissione orizzontale, tra gatti adulti sterilizzati, anche se strettamente conviventi è molto rara/improbabile.
Il virus del FIV è facilmente inattivabile con sapone e comuni disinfettanti e sopravvive solo pochi minuti nell'ambiente

Patogenesi

La patogenesi del FIV dipende da diversi fattori quali l’età dell’animale (i soggetti giovani sviluppano prima i segni clinici), le caratteristiche del virus (alcuni ceppi sono più patogeni di altri), la carica virale e la via di ingresso. A seguito di un’infezione sperimentale si ha replicazione virale in tutti gli organi con una forte presenza di linfociti (timo, milza, linfonodi) interessando anche il midollo, i polmoni, i reni e il cervello/CNS. Dopo questo iniziale picco della viremia che si registra a distanza di diverse settimane dall’infezione la circolazione del virus decresce in conseguenza di una forte risposta umorale: la presenza di anticorpi diretti contro diverse proteine virali si riscontra tra le 2 e le 4 settimane post-infezione (questo vale nelle infezioni sperimentali, nelle infezioni naturali i tempi sono più lunghi specie quando la carica infettiva è debole). La risposta cellulo-mediata agisce a valle dell’integrazione del virus nel DNA anche in presenza di superinfezioni attraverso meccanismi non citolitici che interferiscono con la trascrizione dell’mRNA virale(9).

Sebbene la clearance di un’infezione virale possa dirsi tale solo in conseguenza della distruzione delle cellule infette ad opera dei CTLs e/o NK, esistono meccanismi di “contenimento” detti non citolitici principalmente attribuibili all’azione di citochine ed in particolare interferoni(10). Queste sostanze sono in grado di penetrare le cellule e attivare delle vie metaboliche che interferiscono con il ciclo vitale dei virus e favoriscono l’esposizione di epitopi sulle molecole MHC rendendo così possibile l’azione citotossica ad opera dei linfociti CD8+; ovviamente i virus mettono in campo dei meccanismi di evasione volti a contrastare questi processi.

Sebbene il principale target del FIV siano i linfociti CD4+ attivati, il virus è il grado di infettare anche diversi altri tipi di cellule quali linfociti, monociti/macrofagi, cellule dendritiche, megacariociti (cellule che producono le piastrine), cellule del sistema nervoso, ecc.
Il processo di adesione e ingresso del virione FIV nella cellula avviene tramite il recettore CD134 cui si lega la proteina gp120 mentre l’HIV utilizza direttamente il CD4: come corecettori, entrambi i virus utilizzano il CXCR4. Come per tutti i retrovirus l’RNA virale viene retrotrascritto in un DNA complementare che si integra nel DNA nucleare (provirus); questo produce gli mRNA che a loro volta sintetizzano le diverse proteine che vengono assemblate nei nuovi virioni che puoi fuoriescono dalla cellula. Quando la cellula che integra il provirus non produce nuovi virioni si parla di infezione latente.
Il tratto distintivo nella patogenesi del FIV è la progressiva alterazione del normale funzionamento del sistema immunitario in quanto il principale target del virus sono i linfociti T helper (CD4+) che svolgono un ruolo centrale nell’attivazione e nel controllo dell’immunità adattativa. Il FIV causa una diminuzione nel numero di questa popolazione di linfociti dando luogo ad una possibile inversione nel rapporto CD4+/CD8+, cioè un’alterazione nel bilanciamento tra linfociti T helper e linfociti T citotossici.

Il rapporto CD4+/CD8+ indica il rapporto tra linfociti T helper (CD4+) e linfociti T citotossici (CD8+). La sigla CD sta per cluster di differenziazione ed indica molecole di membrana con funzioni diverse (recettori, ligandi, ecc.) presenti su vari tipi cellulari (linfociti, granulociti, cellule NK, piastrine, ecc.): i linfociti Th sono anche detti CD4+ perché esprimono delle molecole identificate come CD4 mentre i CTLs sono detti CD8+; i cluster di differenziazione attualmente individuati sono dell’ordine delle centinaia.

La perdita di linfociti CD4+ è causata da una diminuita produzione secondaria all’infezione del timo e del midollo osseo, all’effetto citolitico del virus stesso e ad un più marcato processo di apoptosi. Da notare che nel gatto l’inversione del rapporto CD4+/CD8+, a differenza dell’infezione HIV nell’uomo non ha un valore prognostico.

La patogenesi del FIV dipende dal ceppo, dall'età dell'animale, dalla carica virale. Si ha una fase acuta dell'infezione cui segue una lunghissima fase latente di diversi anni e una possibile recrudescenza della replicazione virale in età avanzata. Il FIV attacca preferenzialmente i linfociti T CD4+ che svolgono un ruolo centrale nell'immunità adattativa; può causare una inversione del rapporto CD4+/CD8+ ma questo fatto non ha un valore prognostico.

Segni clinici

L’infezione da FIV, in analogia con l’HIV umano, viene classicamente distinta in tre stadi: una prima fase acuta, una lunga fase asintomatica e una fase terminale. È però bene precisare che si tratta di una stadiazione derivante da studi sperimentali che nel FIV non trovano una precisa corrispondenza con le evidenze della pratica clinica su gatti con infezioni naturali. La fase terminale è associata ad un aumento della carica virale ma spesso questo fenomeno è legato all’acuirsi di infezioni secondarie senza che ciò sia paradigmatico dell’ingresso in uno stadio terminale in quanto, risolta l’infezione, il gatto può ritornare in una fase latente con diminuzione del carico virale.

I segni clinici del FIV sono aspecifici e per la maggior parte normalmente riscontrabili anche in gatti sani. Nelle infezioni sperimentali si registra solitamente linfoadenopatia, febbre leggera, malessere durante la fase acuta che può durare da qualche giorno a poche settimane; segue la fase di latenza che dura normalmente parecchi anni; nella fase terminale la sintomatologia è conseguente ad infezioni secondarie, neoplasie, mielosoppressione e disordini neurologici.
Sebbene non sia una certezza scientifica (ci sono pochi studi e alcuni contrastanti) è presumibile che i gatti FIV positivi siano maggiormente soggetti a sviluppare infezioni di origine virale, batterica, fungina o protozoaria: indubbiamente i segni clinici correlati a queste malattie devono essere considerati con maggiore attenzione nei FIV positivi.

Le stomatiti a varia eziologia sono comuni nei gatti FIV in ogni stadio dell’infezione ed è presumibile che altre coinfezioni (virali e batteriche) magari “facilitate” dal FIV, ne siano una concausa visto che sono invece poco comuni nei gatti SPF sottoposti a sperimentazione.

Sono stati descritti segni neurologici (cambiamenti comportamentali, convulsioni, paresi, ecc.) nella fase acuta e terminale attribuibili a specifici isolati virali (particolari ceppi); quando questi segni neurologici appaiono durante la fase acuta possono esserci dei miglioramenti. I gatti FIV possono anche sviluppare patologie oculari quali uveiti (spesso associate a infezioni da toxoplasma), glaucoma, degenerazioni retiniche.
I gatti FIV positivi risultano più soggetti a leucemia e linfomi delle cellule B mentre i linfomi tipici del FeLV coinvolgono i linfociti T. A livello istopatologico si segnalano diversi tipi di lesioni a carico dei linfonodi e del midollo osseo, infiammazioni polmonari, intestinali e renali (glomerulosclerosi e infiltrati tubulointerstiziali)(11). Altre alterazioni possono rigaurdare il CNS (es. mieliti) e i muscoli (miositi), ecc.

I segni clinici del FIV sono aspecifici e per la maggior parte riscontrabili anche in gatti sani. Nella fase acuta si possono riscontrare linfoadenopatia, febbre leggera, malessere generico che possono durare alcuni giorni o settimane; la lunga fase di latenza è sostanzialmente asintomatica mentre nella fase terminale si può avere una maggior probabilità di contrarre infezioni secondarie, alcune neoplasie (es. linfomi), nefropatie e in qualche caso segni neurologici.
Da notare che i segni clinici riscontrati nei gatti con infezione naturale sono molto più lievi di quelli riscontrati nelle infezioni sperimentali.

Diagnosi

Nessuna delle diverse patologie descritte nel FIV sono patognomoniche dell’infezione, così come non lo sono le possibili anomalie riscontrabili nell’emocromo e nel profilo biochimico. Possono esserci neutropenia e linfopenia, si può riscontrare l’inversione del rapporto CD4+/CD8+ (che non è un esame di routine e comunque non ha valore prognostico), anemia (spesso riconducibile ad altre cause); nel profilo biochimico è comune riscontrare ipergammaglobulinemia policlonale . In genere i gatti FIV presentano divere anomalie nel profilo emo-biochimico ma nessuna di queste è di particolare gravità e rilevanza clinica.

La tecnica diagnostica più diffusa ed affidabile è la ricerca degli anticorpi anti-FIV (ve ne sono diversi, di solito si ricercano gli anticorpi anti-p24 o in combinazione con altri) nel sangue effettuata con metodo ELISA. Normalmente si usano i kit ambulatoriali (detti anche POC, point-of-care) che testano anche il FeLV Ag e hanno parametri di sensibilità e specificità molto buoni. In ogni caso, sia per compensare il rischio di falsi negativi (es. dovuti al un periodo finestra che nel FIV è di almeno 60 giorni) che quello di sempre possibili falsi positivi è buona norma ripetere il test (dopo non meno di 2 mesi). Come per il FeLV è preferibile eseguire il test su siero e non sangue intero; la produzione di un livello rilevabile di anticorpi rimane tale per tutta la vita.

I gattini vanno testati dopo i 4-6 mesi di età in quanto possono presentare anticorpi materni e quindi risultare dei falsi positivi; inoltre va ricordato che raramente il FIV si trasmette per via verticale.
Come test di conferma in caso di risultati discordanti è possibile utilizzare la tecnica del Western blot (considerato il gold standard) o l’immunofluorescenza. Il vaccino rende problematica la determinazione dello stato sierologico ma in Europa, e recentemente anche in USA, non è più disponibile e quindi il problema, nelle nostre regioni, non si pone.

La PCR non è una tecnica normalmente utilizzata per la diagnosi di FIV per via della variabilità dei ceppi virali che può portare a risultati inaffidabili(12) anche se studi recenti riportano maggiore aderenza tra PCR e test ELISA(13).
Va infine ricordato che si possono effettuare test FIV (e FeLV) su saliva usando test commerciali immunocromatografici e/o PCR(14); tale metodica può essere utile quando è difficoltoso effettuare un prelievo ematico.

La diagnosi di FIV si ha attraverso test ambulatoriali con buona sensibilità e specificità che rilevano la presenza di anticorpi; da tenere presente che la finestra che intercorre tra il momento dell'infezione e la formazione di anticorpi è di almeno 60 giorni e che i gattini non vanno testati prima dei 4-6 mesi per la possibile presenza di anticorpi di derivazione materna che darebbero luogo a dei falsi positivi.

Trattamenti

Ricordiamo ancora una volta che nelle infezioni naturali il FIV solitamente non causa serie conseguenze a livello clinico ma può solo predisporre o indurre diverse patologie per lo più trattabili e che un gatto FIV ha una aspettativa di vita comparabile a quella di un gatto sano(15). È importante notare che le patologie in cui può incorrere un FIV non sono sempre e necessariamente correlabili al suo stato sierologico e sono del tutto trattabili come tali.
Va infine ricordato che i gatti FIV (come i FeLV) devono essere vaccinati (con il normale vaccino trivalente e/o contro il FeLV se il caso) e non ci sono controindicazioni alla vaccinazione; ove disponibile, è preferibile utilizzare vaccini inattivati.
Solo alcuni degli antivirali sviluppati per l’HIV possono essere usati sui gatti FIV in quanto molti risultano tossici e ci sono pochi studi controllati. In particolare è stato studiato lo zidovudine, un inibitore della trascrittasi inversa, che ha dimostrato una certa efficacia (riduzione del carico virale, miglioramento del rapporto CD4/CD8, effetti positivi sulle stomatiti) ma anche effetti collaterali (anemia non rigenerativa) e lo sviluppo di forme di resistenza al farmaco dovute e mutazioni del virus che peraltro interessano anche altri farmaci della classe dei nucleosidi analoghi . Altri antivirali usati in umana contro l’HIV come i bloccanti selettivi dei recettori virali (biciclami) sono stati sperimentati sul FIV dimostrando una significativa riduzione del carico provirale(16).
La strategia di rafforzare l’immunità attraverso vari composti più o meno naturali (acemannan, ecc.) che dovrebbero avere proprietà immunostimolanti non trovano credibili riscontri in letteratura. L’interferone alfa umano usato nel gatto per via parenterale ha un effetto antivirale ma causa spesso la produzione di anticorpi; l’uso orale a basse dosi può avere un effetto a livello dei tessuti linfoidi della bocca ma non sistemico in quanto viene distrutto nel tratto gastrointestinale. Alcuni studi supportano questo utilizzo dell’interferone ma si presume che i miglioramenti clinici (non ci sono variazioni nel carico virale) siano attribuibili ad un effetto sulle infezioni secondarie ed inoltre vi è il sospetto che una stimolazione aspecifica del sistema immunitario sia controproducente in quanto può accelerare la progressione della malattia. L’interferone omega felino(17), che può essere somministrato per lungo tempo, è efficace nel bloccare la replicazione virale in vitro ma, sebbene alcuni studi abbiano riscontrato una certa efficacia, non ci sono evidenze certe che ne consiglino l’utilizzo (anche il relazione al costo non indifferente del farmaco).

Si può affermare che non esiste ad oggi un farmaco antivirale o immunostimolante in grado di contrastare efficacemente l’infezione da FIV(18) o tantomeno di eradicarla e quindi la strategia di contrasto deve puntare al contenimento e al trattamento delle infezioni secondarie.
Elemento centrale nella gestione di un gatto FIV (ma anche FeLV) è quello di limitare l’esposizione agli agenti infettivi sia attraverso le vaccinazioni e la profilassi antiparassitaria oltre che, ovviamente, tenendo il gatto al riparo da infezioni e sterilizzandolo. Le infezioni secondarie costituiscono i più comuni problemi clinici e vanno diagnosticate e trattate tempestivamente e in alcuni casi con trattamenti protratti per un tempo maggiore. Salvo rare eccezioni (es. griseofulvina(19)) sui gatti FIV si impiegano gli stessi antibiotici, antiparassitari e antifungini che si usano sui gatti sani. In caso di anemia importante senza altra causa (es. mycoplasmi) o conseguente ad insufficienza renale è possibile somministrare eritropoietina (darbepoietina), mentre l’uso di fattori stimolanti la crescita dei granulociti (granulokine), secondo alcuni studi, può aumentare il carico virale per cui il suo uso va valutato con attenzione.
Il trattamento delle stomatiti, che sono piuttosto comuni nei FIV, è difficile come peraltro lo è nei gatti sani. In molti casi l’unica e definitiva soluzione, sebbene il successo non sia garantito, è quella dell’estrazione dentale totale: quando le condizioni generali del gatto sono buone e l’intervento viene eseguito da uno chirurgo odontostomatologo, il decorso è generalmente breve e il gatto riprende ad alimentarsi normalmente nell’arco di pochi giorni. Tergiversare a lungo con trattamenti antibiotici, antinfiammatori o cortisonici non dà alcun beneficio duraturo e può portare ad un deterioramento delle condizioni generali.
Come anche per il FeLV i corticosteroidi non vanno utilizzati con leggerezza ma nemmeno demonizzati.

Nelle infezioni naturali il FIV generalmente non causa serie/particolari conseguenze a livello clinico e le patologie cui possono andare incontro i gatti FIV positivi vengono trattate con i normali protocolli terapeutici. Non esiste alcun antivirale e/o immunostimolante in grado di contrastare il FIV in modo efficace.
Elemento centrale nella gestione di un gatto FIV (come peraltro di tutti i gatti) è quello di limitare l’esposizione agli agenti infettivi sia attraverso le normali vaccinazioni e la profilassi antiparassitaria oltre che, ovviamente, attraverso la sterilizzazione.

Fonti:

Francesca Iavazzo, DVM, Medicina Generale; Clinica Veterinaria Mugnai Pozzi, Milano

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