Leucemia felina (FeLV)

10/02/2019

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La leucemia felina (Feline Leukemia Virus) è la più importante tra le malattie causate da retrovirus che colpiscono i gatti: è contagiosa, non esiste un vaccino con piena e comprovata efficacia e favorisce l’insorgere di una serie di importanti patologie ma non può essere “di per sé” considerata una malattia mortale.
Tuttavia, contrariamente a quanto si credeva in passato, ad oggi(1) si ritiene che, con un trattamento appropriato, specie per gatti tenuti in casa, un gatto FeLV positivo può avere una buona qualità della vita per diversi anni anche perché molte delle patologie secondarie all’immunosoppressione causata dal virus sono curabili.

La FeLV è stata descritta per la prima volta nel 1964 quando è stata osservata la gemmazione di una particella virale da un linfoblasto di un gatto con linfoma e si è visto che l’inoculazione sperimentale di questo virus era in grado di sviluppare una neoplasia nell’ospite.
A quei tempi si pensava, inoltre, che tutti i tumori e disordini ematopoietici fossero causati dal FeLV, ma queste assunzioni sono state sensibilmente ridimensionate e corrette.

Eziologia

Il FeLV è un gammaretrovirus (sottofamiglia degli Oncornavirus, famiglia Retroviridae), a singolo filamento di RNA, enveloped, che colpisce il gatto e altri felini (puma, leopardi, ghepardi).
Come tutti i retrovirus(2) l’RNA virale viene prima trascritto in un DNA complementare (trascrizione inversa o retrotrascrittasi) che, in occasione della mitosi , si integra in un punto casuale del genoma e viene detto “provirus”. Nell'articolo sul FIV è riportato un accenno al meccanismo replicativo dei retrovirus.
La successiva trascrizione del provirus porta alla sintesi del nuovo RNA, delle proteine virali e infine le particelle virali vengono assemblate ed escono dalla cellula per gemmazione senza causarne la morte (ciclo lisogeno e non litico). L’integrazione del provirus nel DNA delle cellule dell’ospite è, infatti, un meccanismo fondamentale per garantire la persistenza del virus nell’ospite. L’infezione può essere debellata quando è allo stadio iniziale distruggendo le cellule colpite dal virus mentre diventa virtualmente impossibile quando sono state infettate le cellule staminali ematopoietiche ed immunitarie.
Il virus replica inizialmente nel tessuto linfoide locale, ma è successivamente in grado di infettare diversi tessuti quali timo, milza, epitelio polmonare e midollo osseo.

I retrovirus che colpiscono il gatto sono il FeLV, il FIV e il FFV (o FeFV, Feline Foamy Virus, solitamente considerato non patogenico(3)) che vengono trasmessi per via orizzontale (da gatto a gatto) e per via verticale (infezione in utero e/o attraverso il latte materno).
Il virus responsabile della leucemia felina virale (FeLV, sottotipo FeLV-A) è un virus esogeno (acquisito dall’esterno), ma esistono anche forme endogene del FeLV che, attraverso ricombinazioni e mutazioni col provirus del FeLV-A, danno origine ai sottotipi FeLV-B, FeLV-C e FeSV (Feline Sarcoma Virus).

Retrovirus endogeni: si tratta di residui (remnants) di genoma virale trasmessi per via germinale nel corso dell’evoluzione ed integrati nel genoma che di per sé non hanno la capacità di replicarsi ma possono andare incontro a ricombinazioni. L’8% del genoma umano è costituito da DNA di origine retrovirale(4).
Come noto i retrovirus si replicano attraverso un DNA intermedio o complementare (cDNA), che si integra nei cromosomi: normalmente questa integrazione avviene nelle cellule somatiche ma quando il provirus si integra nelle cellule germinali viene trasmesso di generazione in generazione: a grandi linee è questo il meccanismo per cui nel nostro genoma come in quello degli altri mammiferi (tra cui il gatto) possiamo riscontrare tracce di questi antichi e spesso estinti virus che hanno colpito i nostri antenati, anche milioni di anni fa.
Non è chiaro se i retrovirus esogeni rappresentano un’evoluzione dei retrovirus endogeni. I retrovirus endogeni, sebbene inerti sotto il profilo replicativo, hanno un ruolo nell’interazione con i retrovirus esogeni: si tratta di un aspetto ancora controverso ed enigmatico.

Nel gatto sono normalmente presenti retrovirus endogeni non patogenici (enFeLV, RD-114 virus, MAC-1 virus) che hanno origine da infezioni antiche avvenute anche migliaia di anni fa: si suppone, ad esempio, che l’enFeLV derivi dal virus della leucemia murina (MuLV) che ha la capacità di infettare le cellule germinali del predatore, mentre il RD114 deriva dalla predazione di primati, è autonomo nella replicazione, ma non patogeno.
Questi retrovirus endogeni non hanno solitamente la capacità di replicarsi in modo autonomo, ma concorrono alla formazione dei sottogruppi FeLV che hanno caratteristiche patogeniche proprie.

Sottogruppi FeLV

Esistono diversi sottogruppi del virus(5) immunologicamente correlati che si differenziano per il tropismo cellulare che esibiscono, per la capacità di infettare ospiti non felini ed altre caratteristiche.
I tre sottogruppi più importanti sono il FeLV-A, B e C.
Il FeLV-A è l’unico sottogruppo FeLV che si trasmette in modo naturale da gatto a gatto ed è quindi presente in tutti i soggetti infetti, mentre gli altri sottogruppi (B, C e T) derivano da mutazioni e ricombinazioni con sequenze virali endogene normalmente presenti nel genoma felino. Il FeLV-B, presente nel 50% dei gatti infetti, deriva da una ricombinazione del sottogruppo A con sequenze endogene (enFeLV): ogni ricombinazione è unica è maggiormente patogena e contagiosa del solo sottogruppo A.
Il FeLV C è meno comune (circa 1% dei gatti infetti) e deriva da una mutazione del gene env nei gatti FeLV-A infetti.

La replicazione dei sottogruppi B e C è possibile solo in presenza del FeLV-A che quindi agisce da helper in termini di efficienza di replicazione ed evasione dalla risposta immunitaria. Quindi, in condizioni naturali, tutti i gatti FeLV presentano il FeLV-A, mentre altri presentano anche il FeLV-B, il FeLV-C o entrambi questi sottogruppi.
Questa presenza contemporanea di più virus indotti da un unico agente infettivo (il FeLV-A) aiuta a spiegare la grande varietà di patologie associate al FeLV. L’infezione da FeLV-A è moderatamente patogenica, causa immunosoppressione ed altre malattie FeLV-associate; la presenza del FeLV-B (30-50% dei casi in associazione al FeLV-A) è implicata nello sviluppo di neoplasie ematopoietiche (linfomi) mentre il FeLV-C (raro, 1% circa) è correlato con le anemie non rigenerative.
Il sottogruppo T è altamente citolitico per i linfociti T e causa severa immunosoppressione.

Genoma e proteine virali

Il FeLV è un tipico retrovirus che viene trascritto (tramite RdRp – RNA dependent RNA polymerase o trascrittasi inversa) in un DNA complementare che poi si integra con genoma cellulare.
Il provirus è caratterizzato da due LTR con funzioni regolatorie e di controllo dell’espressione genica che hanno un ruolo fondamentale nel tropismo nella patogenicità del virus, in particolare nell’oncogenesi. Il genoma del FeLV (in senso positivo 5’-3’) è strutturato in LTR-gag-pol-env-LTR.
ll gene gag (Group-Associated Antigen) codifica per le proteine strutturali tra cui p15c e p27; il gene pol codifica la trascrittasi inversa e l’env codifica le proteine dell’envelope tra cui la gp70 che è riconosciuta dagli anticorpi neutralizzanti.
La proteina p27 viene prodotta in quantità maggiore rispetto a quanto necessario per l’assemblaggio dei nuovi virione e si trova abbondante sia nel citoplasma delle cellule infette che libera nel siero e nella saliva; per questa ragione è l’antigene che viene ricercato dai comuni test ELISA (nel siero) e dall’immunofluorescenza (nelle cellule). La proteina gp70 dell’envelope permette di identificate il sottogruppo FeLV ed è il target per la produzione dei vaccini.

Il FeLV è una malattia virale causata da un gammaretrovirus che si integra nel DNA delle cellule e che come tale può persistere per tutta la vita. Esistono diversi sottogruppi del FeLV: tutti i gatti positivi presentano il FeLV-A mentre altri presentano anche il FeLV-B o il FeLV-C o entrambi: la copresenza di questi altri sottogruppi spiega la diversità e la diversa gravità dei segni clinici che si riscontrano nei gatti FeLV.

Epidemiologia e trasmissione

Sebbene i diversi sottogruppi di FeLV possano replicarsi su linee cellulari di diverse specie (tra cui cane, scimmia, maiale, uomo, ecc.) non ci sono evidenze di infezione in altre specie ma stanno emergendo sempre più prove concrete di infezione in diverse specie selvatiche della famiglia dei felidi tra cui ghepardi, ocelot, linci, ecc.
Il FeLV è un’infezione diffusa in tutto il mondo; in base ai molti studi che hanno riguardato diverse popolazioni di gatti emerge che la prevalenza del FeLV tende a diminuire: forse per l’adozione di misure di prevenzione (adozione solo a seguito di test), sterilizzazioni, vaccinazione, tendenza a tenere i gatti in casa.
La via di contagio più importante è la saliva dove la concentrazione di virioni è molto più alta che non nel sangue e non c’è differenza tra gatti viremici sani e gatti viremici con segni di malattia. Quindi contatti stretti e prolungati, il grooming reciproco, le ciotole condivise sono il mezzo “migliore” per diffondere la malattia in una comunità. Feci e urine non costituiscono la via preferenziale per il contagio: si è visto che l’esposizione di gatti naïve a feci contenenti il virus porta allo sviluppo di anticorpi anti-FeLV ma restano negativi sia ai test antigenici che provirali.

La trasmissione può avvenire per via iatrogena e in particolare attraverso le trasfusioni da gatti infetti. Da notare che i donatori dovrebbero essere testati sia per la ricerca antigenica (test ELISA) che per il DNA provirus (PCR su sangue/midollo) in quanto anche i gatti regressivi (ELISA negativi, ma PCR positivi) possono trasmettere l’infezione attraverso le trasfusioni di sangue(6).

Il FeLV è un virus enveloped e come tale suscettibile ai comuni disinfettanti compreso il sapone; inoltre sopravvive solo pochi minuti nell’ambiente: non sono necessarie particolari misure di disinfezione e isolamento (quali necessarie ad esempio per il parvovirus) che vadano oltre una ragionevole gestione di spazi separati; la trasmissione indiretta mediata dall’uomo (vestiti, scarpe, ecc.) è largamente improbabile. Non è quindi necessario un periodo di attesa prima di introdurre un nuovo gatto in una casa in cui è stato ospitato un FeLV.

La trasmissione verticale, da madre a cuccioli, è comune nei gatti viremici (trasmissione transplacentare, grooming dei cuccioli da parte della madre, allattamento) ma può anche verificarsi nei soggetti regressivi (risultati negativi ai normali test antigenici) in quanto l’infezione latente può riattivarsi durante la gravidanza.
L’infezione in utero può portare ad aborto, riassorbimento del feto o a morte neonatale: i cuccioli che sopravvivono restano permanentemente infetti da adulti.
Da notare che i neonati da madre positiva possono risultare negativi ai test antigenici per poi positivizzarsi dopo settimane o mesi quando il virus comincia a replicarsi; anche per questo si consiglia, in caso di test negativo, di testare nuovamente i cuccioli qualche mese dopo(7).
La suscettibilità all’infezione da FeLV, come per molte altre infezioni virali, è legata all’età: i gatti giovani sono maggiormente a rischio rispetto ai gatti adulti/anziani; inoltre si è visto che la prevalenza degli anticorpi anti-FeLV cresce con l’età e contemporaneamente diminuisce la probabilità di sviluppare una viremia persistente.
La ragione di questa maggiore resistenza dei gatti adulti, che è indipendente dalla vaccinazione, risiede probabilmente nella naturale diminuzione dei recettori che il virus utilizza per entrare nella cellula con l’avanzare dell’età.
Ciò non significa che un gatto adulto è immune, ma solo che è maggiormente resistente: tale capacità di resistenza dipende dalla pressione infettiva cui è sottoposto il gatto nell’ambiente.
Nei contesti con molti gatti positivi, infatti, si possono riscontrare adulti che si positivizzano dopo anni di convivenza (rischio circa del 30%). Il rischio che un gatto adulto diventi positivo solo dopo un breve contatto è, invece, altamente improbabile (circa il 3%).

Il FeLV si trasmette ad altri felidi ma non ci sono evidenze di trasmissione all'uomo o altre specie domestiche. I gatti FeLV positivi sono fonte di contagio, soprattutto attraverso la saliva, sia che presentino o meno segni della malattia; la trasmissione verticale, da madre a cuccioli, è comune nei gatti viremici; è possibile la trasmissione attraverso la donazione di sangue da donatori con infezione regressiva (ELISA negativi, DNA provirus positivi).
Il virus FeLV sopravvive solo pochi minuti nell'ambiente e si elimina con comuni disinfettanti compreso il sapone: il rischio concreto di contagio è quindi solo per gatti strettamente conviventi (grooming, condivisione di ciotole, ecc.), raro per contatti occasionali; non si trasmette attraverso scarpe e indumenti.
I gatti giovani sono più suscettibili al contagio rispetto a quelli adulti/anziani.

Patogenesi

Le conoscenze sulla patogenesi e la caratterizzazione dei diversi stadi dell’infezione da FeLV, che rappresenta un “unicum” tra le infezioni virali, si è arricchita di nuovi elementi da quando si sono rese disponibili nuove tecniche diagnostiche quali la rilevazione del DNA provirale e del RNA virale che permettono una più precisa definizione della patogenesi e della caratterizzazione dei diversi stati dell’infezione. A differenza di altre infezioni virali il FeLV presenta caratteristiche uniche: ad oggi(8) si distinguono quattro diversi stadi: infezione abortiva, regressiva, progressiva e focale (più che altro osservabile in infezioni sperimentali) che sono rappresentati in figura

Stadi dell'infezione FeLV

Infezione abortiva

A seguito dell’esposizione, che normalmente avviene per via oronasale, il virus si replica nei tessuti linfoidi locali dell’orofaringe: in alcuni soggetti immunocompetenti, una risposta sia umorale che cellulo-mediata è in grado di fermare la replicazione a questo stadio e il gatto risulta negativo a tutti i test (isolamento virale, antigene p27, RNA e DNA provirus) e l’unico parametro che rileva l’avvenuta esposizione è un alto livello di anticorpi neutralizzanti che durano anni o tutta la vita; questi gatti, che non sono escretori, hanno una minima probabilità di diventare viremici anche a fronte di successive esposizioni.

Infezione regressiva

L’infezione regressiva si ha in presenza di una risposta immunitaria che riesce a contenere l’infezione prima o subito dopo il coinvolgimento del midollo osseo.
Dopo l’infezione iniziale il virus si diffonde in modo sistemico attraverso linfociti e monociti raggiungendo il timo, la milza, le ghiandole salivari e i linfonodi provocando solo sintomi aspecifici (malessere generico, episodi febbrili, linfoadenomegalia).
Durante questa fase di viremia, che dura dalle 3 alle 6 settimane e tendenzialmente non oltre i 4 mesi, l’antigene p27 è presente nel sangue (il gatto risulta positivo ad ELISA) e c’è escrezione virale (quindi il gatto è contagioso).

Quando la viremia si ferma prima che venga interessato il midollo osseo si può pensare che il virus venga del tutto eliminato dall’organismo ma la cosa non è assodata; in ogni caso il gatto ha sviluppato una immunità effettiva che lo protegge da successive esposizioni: ha una minima probabilità di sviluppare malattie FeLV-associate e non è escretore, questo anche quando vi è l’integrazione del provirus.

Se la viremia persiste (indicativamente) oltre le 3 settimane si ha il coinvolgimento midollare: i precursori producono granulociti e piastrine infetti circolanti. In questa fase di forte viremia si possono avere risultati discordanti dai test: i test ELISA che ricercano il p27 libero risultano negativi mentre l’immunofluorescenza che ricerca l’antigene intracellulare, risulta positivo ed è indicativo dell’avvenuta infezione del midollo osseo. Quindi, nella prima fase della viremia avremo i test antigenici su siero positivi e IFA negativi, mentre, dopo l’infezione del midollo potremmo avere p27 sierico negativo e IFA positivo. Alcuni gatti riescono comunque a fermare la viremia anche in questa fase ma non ad “azzerare” del tutto l’infezione in quanto le cellule staminali del midollo hanno incorporato il provirus. In presenza di infezione regressiva (dopo i 4 mesi) avremo dei gatti negativi ad ELISA p27 e IFA ma positivi a DNA provirus (da PCR su midollo o PCR quantitative su sangue(9)), non escretori e quindi non contagiosi.

L’infezione regressiva e lo stato di latenza sono caratteristiche uniche del FeLV.
L'enzima trascrittasi inversa copia l’RNA virale in un DNA complementare (cDNA) che si integra nel DNA cellulare che viene duplicato ad ogni mitosi tramandando così l’infezione alle cellule figlie. Si tratta di un DNA virale “silente”, non soggetto ai processi di trascrizione e traduzione in proteine e quindi non in grado di produrre nuove particelle virali. Molte di queste cellule infettate entrano in senescenza (10) col tempo e si stima che la presenza del virus venga virtualmente eliminata nell’arco di 9-30 mesi sebbene il virus possa rimanere in un numero limitato di cellule.

L’infezione regressiva non è una condizione del tutto stabile e la viremia può essere riattivata in alcune situazioni, come ad esempio in gravidanza per via dell’azione immunosoppressiva del progesterone, o in altre condizioni di immunodepressione (prolungata somministrazione di cortisonici, aumento dei corticosteroidi endogeni indotti da stress o da altre cause).
Questo fenomeno della riattivazione (il provirus contiene tutte le informazioni genetiche per la produzione di nuovi virioni) è più probabile che avvenga negli stadi iniziali: la riattivazione dopo un periodo di latenza di 2 anni è considerato improbabile (ma non impossibile), anche sotto l’effetto di dosi massicce di corticosteroidi. In uno studio (10a) in cui si citano studi degli anni '80 si rileva che a 3 anni dall'infezione solo l'8% dei soggetti con anticorpi neutralizzanti presentavano ancora positività al provirus nel midollo, suggerendo quindi la possibilità che l'infezione regressiva sia uno stadio del processo di eliminazione del virus. A nostra conoscenza non risultano altri studi che confermano questa possibilità.

Sebbene le infezioni regressive siano normalmente poco significative sul piano clinico ed epidemiologico in quanto la riattivazione è inusuale (ma possibile) e il soggetto non è contagioso si possono comunque registrare rari casi di patologie FeLV-correlate in questi gatti: vi sono studi che confermano citopenie e linfomi in gatti con test antigenico negativo e provirus positivo. La possibile spiegazione risiede nel fatto che l’inserzione del provirus (che è casuale) in certi casi può indurre alterazioni nelle cellule infette interferendo con l’espressione genica. Inoltre possono esserci casi di trasduzione con la formazione di varianti del virus stesso.

In un interessante studio sperimentale(11) sono stati valutati p27, carico del provirus (copie per cellula) e Ab anti FeLV nell’arco di 15 settimane post-infezione su gatti con infezione regressiva e progressiva: nello schema esemplificativo si può vedere una chiara differenza nell’andamento di questi indicatori dell’infezione FeLV. L’infezione regressiva è caratterizzata da un titolo anticorpale significativamente maggiore che non nell’infezione progressiva e da una carica provirale inferiore a quella rilevata nell’infezione progressiva, oltre naturalmente al chiaro andamento del p27.

Schema esemplificativo liberamente tratto da: Feline leukaemia provirus load during the course of experimental infection and in naturally infected cats; Hofmann-Lehmann et al.; J of General Virology; 2001

L’infezione regressiva come esito dell’infezione da FeLV non è così rara: le percentuali di gatti che presentano questo decorso variano secondo diversi studi (11)(12) dal 10 al 30-40% e possono variare di molto varia a seconda dei contesti, dell’età dei gatti presi in esame, della presenza di coinfezioni da FIV, ecc. In ogni caso si tratta di numeri significativi che rendono sconsigliabile una diagnosi “di FeLV” solo sulla base di un singolo test antigenico.

Infezione progressiva

Si parla di infezione progressiva quando la viremia persiste nei tessuti linfoidi e nel midollo osseo indicativamente oltre le 16 settimane: dopo quel periodo il gatto risulterà viremico e infettivo a vita andando incontro alle patologie FeLV-correlate. I gatti in questa condizione esibiscono un basso livello di anticorpi neutralizzanti e il virus si replica persistentemente nel midollo osseo, nella milza, nei linfonodi e nelle ghiandole salivari; i gatti giovani che vivono in un ambiente con alta pressione infettiva sono più a rischio di sviluppare un’infezione progressiva. In gatti che hanno solo contatti episodici con un gatto escretore hanno una probabilità molto bassa di sviluppare un’infezione progressiva. La distinzione tra infezione regressiva e progressiva si ha solo con ripetuti test antigenici: normalmente i gatti con infezione regressiva hanno test antigenici negativi entro le 8 settimane o, al più entro i quattro mesi, in entrambi i casi i test su DNA provirus e RNA virale sono positivi anche se con valori di Ct (13) più alti (con PCR quantitativa) nel caso di infezione progressiva.

Infezione focale o atipica

Si tratta di infezioni raramente riscontrate in infezioni naturali e riguardano specifici tessuti come la milza, le ghiandole mammarie, i linfonodi, il piccolo intestino e danno risultati discordanti/intermittenti ai test antigenici.

Il FeLV presenta caratteristiche uniche: l'infezione può essere: abortiva, regressiva o progressiva.

  • Infezione abortiva: il gatto è entrato in contatto col virus ma la replicazione è stata fermata nei tessuti linfoidi locali; il gatto risulta negativo a tutti i normali test
  • Infezione regressiva: il sistema immunitario del gatto riesce a contenere l'infezione. Il gatto risulta positivo ai test ELISA per un periodo massimo di 4 mesi, dopodiché ritorna ad essere negativo ma resta positivo alla ricerca del DNA provirus con PCR. Quando si negativizza non è escrettore e quindi non contagioso. La condizione di latenza può restare tale per tutta la vita, oppure l'infezione può riattivarsi e il gatto ritorna ad essere contagioso.
    Quindi, un solo test ELISA non garantisce che il gatto sia effettivamente negativo (può essere nella fase di latenza); nel caso risulti positivo non garantisce che sia effettivamente positivo (può essere nella fase viremica di una infezione regressiva)
  • Infezione progressiva: è l'infezione "vera e propria" che è causa delle patologie FeLV-correlate; il gatto risulta positivo a ripetuti test ELISA (a distanza di mesi uno dall'altro) ed è positivo al DNA provirus

Segni clinici

I segni clinici causati dal FeLV sono variabili: i più comuni implicano la compresenza di infezioni di vario tipo (respiratorie, comorbilità da malattie infettive, stomatiti, ecc.), ma comprendono anche tumori e disordini ematologici, immunosoppressione e altre patologie. La comparsa e la frequenza di patologie FeLV-associate è correlata allo stile di vita del gatto e al rischio di esposizione (ad altri agenti) a cui è sottoposto. Tale riscontro implica che la vita in comunità e in gattili induca un’aspettativa di vita significativamente inferiore rispetto a gatti che vivono da soli confinati in casa e che ricevono cure veterinarie adeguate.
Un altro fattore determinante per il decorso della malattia è l’età in cui si contrae l’infezione: le infezioni neonatali hanno più frequentemente una prognosi infausta, con sviluppo di atrofia timica e grave immunosoppressione; al contrario i gatti adulti/anziani tendono a sviluppare più spesso infezioni abortive o regressive e comunque segni clinici più lievi.

Tumori

Quando il genoma del FeLV si inserisce in prossimità di un gene proto-oncogeno si può avere una attivazione e una sovraespressione di tale gene che può condurre ad una proliferazione incontrollata di quella cellula che non è controllata dalla risposta immunitaria. Si possono avere ricombinazioni del FeLV-A che danno origine al FeLV-B o al FeSV (Feline Sarcoma Virus) che agiscono come oncogeni. In passato, la scoperta di un antigene (FOCMA - Feline Oncornavirus Cell Membrane Antigen) individuato su cellule di linfoma ha dato origine ad una discussione circa il suo valore diagnostico e si è supposto che la somministrazione di anticorpi anti-FOCMA potesse avere un valore preventivo per lo sviluppo dei tumori: ad oggi si ritiene solamente che la presenza del FOCMA sia indicativa, ma non sempre, dell’esposizione al FeLV e che la presenza di anticorpi contro questo antigene possa avere una funzione protettiva.
L’associazione tra FeLV è linfomi originati da cellule T (i linfomi originati da cellule B sono normalmente non FeLV-associati) è ampiamente dimostrata da decine di studi anche se non vengono riportati gli stessi dati di incidenza. I linfomi mediastinici (o timici) si registrano prevalentemente nei gatti giovani e sono in grande maggioranza associati al FeLV; i linfomi alimentari (o intestinali) colpiscono solitamente i gatti anziani e la correlazione col FeLV è meno pronunciata. Per altri tipi di linfomi (multicentrici, al naso, renali, epidurali, ecc.) risultano correlazioni al FeLV con diverso grado di incidenza. Va infine ricordato che il FeLV può indurre tumori anche nei casi di infezioni regressive.

Leucemie

A differenza dei linfomi, che sono tumori che colpiscono i linfociti presenti nei tessuti linfoidi, le leucemie sono tumori che colpiscono le cellule progenitrici ematopoietiche del midollo osseo. Si assiste in questi casi alla proliferazione di queste cellule immature non differenziate che possono diffondersi in circolo o restare confinate nel midollo.
Le leucemie si distinguono in linfoidi e mieloidi a seconda della linea da cui hanno origine.

Tutti gli elementi figurati del sangue, cioè globuli bianchi, globuli rossi e piastrine, derivano dalle cellule staminali ematopoietiche pluripotenti presenti nel midollo osseo. Queste cellule, dividendosi, producono due linee di cellule progenitrici: la linea linfoide e la linea mieloide. Dalla linea linfoide derivano i linfociti T, i linfociti B e le cellule NK mentre dalla linea mieloide derivano le altre cellule immunitarie (macrofagi e granulociti), i megacariociti che danno origine alle piastrine e gli eritrociti (i globuli rossi). Quindi le cellule che comunemente vengono definite come “globuli bianchi” derivano in parte dalla linea linfoide e in parte da quella mieloide che dà origine anche ai globuli rossi.

Schema degli elementi figurati del sangue (tratto da Wikipedia)

Scendendo più in dettaglio, nella linea linfoide troviamo i linfociti T e B (indistinguibili morfologicamente) che sono i principali effettori dell’immunità adattativa. A grandi linee l'immunità adattativa si distingue poi in immunità cellulo-mediata che va a colpire le cellule infette e vede tra i principli attori le diverse sottopopolazioni di linfociti T (Thelper, CTLs, memory T cells) e l'immunita umorale che colpisce i patogeni extracellulari principalmente ad opera degli anticorpi che sono secreti dalle plasmacellula e loro volta derivati dalla maturazione dei linfociti B attivati: da tenere presente che queste sono schematizzazioni che non riflettono appieno la complessità e le intereazioni tra le diversi componenti del sistema immunitario.
A differenza dei linfociti T e B che sono “specifici” per un dato antigene le cellule NK si comportano come i linfociti T citotossici (CTLs) ma in modo aspecifico ; negli ultimi anni le cellule NK vengono collocate nel più ampio gruppo delle cellule linfoidi innate (ILCs)(14).
La rimanente parte delle cellule immunitarie i monociti (precursori dei macrofagi), i granulociti che comprendono neutrofili, eosinofili e basofili, gran parte delle cellule dendritiche e i mastociti), i megacariociti che producono le piastrine discendono dalla linea mieloide, la stessa da cui discendono gli eritroblasti che maturano in eritrociti.

Tutti i precursori, linfoidi e mieloidi (inclusi quelli granulocitici, megacariocitici ed eritroidi) sono suscettibili di trasformazioni maligne causate dal FeLV che conducono a malattie mieloproliferative o sindromi mielodisplastiche (MDS) . Nella leucemia acuta e nelle MDS, la proliferazione dei blasti nel midollo osseo comporta una soppressione dell’ematopoiesi: i segni clinici includono letargia conseguente all’anemia, neutropenia e trombocitopenia con possibili emorragie. Si può osservare epatomegalia con ittero e splenomegalia conseguenti ad infiltrazioni o ematopoiesi extramidollare . La diagnosi e la differenziazione tra le diverse forme di leucemia si ha in base all’emocromo e all’esame istologico del midollo osseo.
Il FeSV è un virus ricombinate tra il FeLV-A con oncogeni endogeni che causa l’insorgere di fibrosarcomi multifocali dopo un breve periodo di incubazione e colpisce solitamente i gatti giovani. I fibrosarcomi FeLV-indotti tendono a crescere rapidamente formando multipli noduli cutanei o sottocutanei che tendono a metastatizzare nei polmoni o in altri organi. I fibrosarcomi solitari che si possono sviluppare in gatti anziani non sono causati dal FeSV e a differenza di questi tendono a crescere e metastatizzare lentamente e sono aggredibili con chirurgia e radioterapia. Altrettanto estranei al FeSV sono i sarcomi causati da una reazione infiammatoria sul sito di inoculo di vaccini contenenti adiuvanti (o anche altri farmaci).

Anemia, trombocitopenia, pancitopenia

I disordini ematologi non di natura neoplastica quali anemia, trombocitopenia e pancitopenia occorrono prevalentemente nelle forme progressive, caratterizzate da una forte replicazione virale e solo raramente nelle forme regressive.
L’anemia è la principale alterazione ematologica non neoplastica dei gatti FeLV ed è prevalentemente non rigenerativa. Più raramente si assiste ad anemie rigenerative secondarie ad infezioni (tipicamente da micoplasmi), che è quindi sempre consigliabile escludere.
Una forma particolarmente severa è la PRCA (Pure Red Cell Aplasia), associata al FeLV-C, caratterizzata da un ematocrito molto basso (inferiore a 15%), macrocitosi (MCV alto) e scarsa/nulla rigenerazione.
L’esame citologico del midollo rivela una quasi completa assenza di precursori degli eritrociti e normale presenza degli altri precursori mieloidi. Può rispondere a farmaci immunoppressivi (cortisonici, ciclosporina), ma si ripresenta in caso di sospensione del trattamento.
L’anemia da infiammazione cronica è molto comune ed è causata dall’eccessiva produzione di citochine infiammatorie; si tratta di una anemia moderata (ematocrito tra 20 e 30%) ed ha un andamento fluttuante in relazione alla risoluzione delle patologie infettive sottostanti.
L’anemia aplastica interessa tutte le linee cellulari. L’esame citologico del midollo mostra scarsa cellularità e segni di necrosi, per cui è stato ipotizzato un’infezione da parte del virus di cellule ad uno stadio di differenziazione prossimo alle staminali.
Tra i disordini ematologici sono importanti le alterazioni piastriniche, sia in termini di trombocitopenia (diminuzione del numero delle piastrine), che di trombocitopatia (alterazioni funzionali delle piastrine). La trombocitopenia può essere secondaria a una ridotta produzione midollare, causata da infiltrazioni leucemiche e/o soppressione del midollo osseo con interessamento dei megacariociti (precursori delle piastrine). La trombocitopenia può anche essere secondaria ad un processo immunomediato, spesso associati alla presenza di anemia emolitica immunomediata (IMHA).
I gatti FeLV possono anche presentare linfopenia e neutropenia.
La linfopenia è attribuita alla replicazione del virus nei linfociti, in presenza di atrofia timica, con possibile interessamento dei Th o dei CTLs. La neutropenia, causata dall’infezione dei precursori, è in alcuni casi immunomediata (responsiva ai corticosteroidi) e a volte assume carattere ciclico (con cicli di circa 8-14 giorni). La neutropenia è causa di ricorrenti infezioni batteriche, episodi febbrili, gengiviti con o senza segni infiammatori (difficilmente presenti in assenza di granulociti).
Sono anche state descritte e indotte sperimentalmente gravi forme di neutropenia con segni gastroenterici assimilabili alla panleucopenia (FAE – FeLV-associated enteritis): non è del tutto chiarito se possa trattarsi di una coinfezione da FPV (si sono ipotizzati anche i vaccini MLV) o da varianti del FeLV.

Altre patologie FeLV correlate

Le malattie secondarie all’immunosoppressione rappresentano la maggioranza delle cause di morbilità e mortalità dei gatti FeLV. I gatti con infezione FeLV progressiva sono predisposti ad infezioni secondarie di varia natura analogamente ai gatti FIV (e umani con HIV) ma in modo più grave: questa è la ragione per cui un gatto FeLV che vive in un ambiente “sano” ha un’aspettativa di vita decisamente più favorevole di uno che vive in un ambiente in cui la pressione infettiva è molto più alta.
I meccanismi che portano all’immunosoppressione non sono del tutto chiari, come non è chiara la ragione per cui diversi gatti presentano un diverso grado di immunosoppressione. L’immunosoppressione può interessare diverse cellule del sistema immunitario: i linfociti e i neutrofili, la produzione di immunoglobuline, di interleuchine, di fattori del complemento, ecc. L’immunosoppressione incide anche sull’efficacia dei vaccini, in quanto è compromessa la capacità di sviluppare una risposta immunitaria adeguata, ragione per cui si consigliano richiami vaccinali più ravvicinati nei gatti FeLV.

Le malattie immunomediate quali IMHA, glomerulonefriti, uveiti, poliartriti sono più comuni nei gatti FeLV a causa di un’esagerata risposta immunitaria al virus, che porta alla formazione di complessi antigene-anticorpo e alla loro deposizione nei tessuti.

Le gatte FeLV possono trasmettere il virus per via transplacentare e in parecchi casi si hanno patologie della riproduzione, quali riassorbimento fetale, aborto e decesso neonatale.
I piccoli nati da madre FeLV positiva possono essere infettati anche durante l’allattamento: alcuni diventano immuni, ma la maggior parte può morire entro le prime settimane di vita per difficoltà a nutrirsi, disidratazione, ipotermia (fading kitten syndrome).

La maggior parte delle disfunzioni neurologiche sono conseguenti a linfomi e infiltrazioni linfocitiche nel cervello e nella colonna vertebrale, che causano la compressione delle fibre nervose, da cui origina la neuropatia. Vi sono, però, casi che manifestano sintomi neurologici (anisocoria, midriasi, iperestesia, incontinenza urinaria, vocalizzazione, ecc.) senza che via sia alcuna evidenza di neoplasia. In questi casi si pensa che il virus possa avere un effetto citopatico sui tessuti nervosi, dovuta anche alla notevole presenza dell’antigene virale nei tessuti affetti.

È importante ricordare che i gatti FeLV possono essere più suscettibili ad una “infinità” di infezioni secondarie e che queste sono generalmente del tutto curabili.
Infezioni delle alte vie respiratorie, micoplasmosi, coccidiosi, epatopatie, patologie dermatologiche da ectoparassiti, ecc. sono o possono essere considerate frequenti nei gatti FeLV, così come si possono riscontrare maggiori difficoltà nella guarigione da traumi ed ascessi.

Un gatto FeLV necessita indubbiamente di maggiori attenzioni e cure ma non è accettabile decidere di non curare (o sopprimere) un gatto solo perché FeLV positivo anche perché, ricordiamolo sempre, la maggior parte delle patologie che colpiscono con più frequenza questi gatti, sono del tuttto curabili.

I segni clinici del FeLV sono variabili: i più comuni implicano la compresenza di infezioni di vario tipo (respiratorie, comorbilità da malattie infettive, stomatiti, ecc.), ma ci possono essere anche tumori e disordini ematologici, immunosoppressione e altre patologie. Un gatto FeLV che vive in comunità è più a rischio di contrarre le infezioni secondarie che sono le manifestazioni più comuni nei gatti FeLV.
Le neoplasie cui possono andare incontro i gatti FeLV sono essenzialmente linfomi (a cellule T). I linfomi mediastinici, timici o del midollo osseo si registrano principalmente sui gatti giovani; altri tipi di linfoma (es. linfoma intestinale) non sono correlabili al FeLV. I gatti FeLV possono anche andare incontro a varie forme di leucemia.
Anemia, trombocitopenia e pancitopenia sono altri disordini ematologici, non di natura neoplastica, relativamente comuni nei gatti FeLV.
I gatti FeLV sono soggetti a patologie conseguenti lo stato di immunosoppressione,ragione per cui è importante preservare questi animali dalle infezioni secondarie e riservargli maggiore attenzione: da notare che queste patologie sono generalmente curabili secondo i normali protocolli medici.

Diagnosi

In assenza di un trattamento specifico, la diagnosi è rivolta a prevenire la diffusione della patologia ad altri gatti (adozioni, inserimento in gattile), sebbene la conoscenza dello stato sierologico possa contribuire ad indirizzare verso la diagnosi di specifiche patologie.

I gatti FeLV non dovrebbero essere tenuti assieme ai gatti sani, in quanto si tratta di una importante malattia contagiosa che, anche nelle migliori condizioni di cura, riduce in modo significativo l’aspettativa di vita.
È sempre necessario, prima dell’inserimento in comunità o dell’adozione di un nuovo gatto, valutarne lo stato sierologico. Un singolo test antigenico di quelli comunemente utilizzati nella pratica ambulatoriale non garantisce una corretta identificazione dei soggetti FeLV in quanto, come precedentemente chiarito, la malattia si presenta in diversi stadi (regressiva, abortiva), che un singolo test antigenico non può discriminare. Sono stati pubblicati diverse linee guida(15) per i test su FIV e FeLV (entrambi retrovirus). Ad oggi disponiamo di tre metodiche per conoscere lo stato sierologico e lo stadio dell’infezione FeLV: ELISA p27 (i comuni test SNAP rapidi ambulatoriali), IFA e PCR provirus su sangue e/o midollo.

I test ELISA (antigene p27 libero) hanno il vantaggio di risultare positivi nella prima fase della viremia, nelle prime settimane successive all’infezione, sono molto sensibili e in grado di determinare anche la presenza di basse quantità di FeLV p27 libera nel siero, nel plasma o sangue intero.
In alcuni studi la specificità del test diminuiva se eseguito su campioni di sangue intero emolitici, per cui se ne raccomanda l’uso su siero o plasma.
Non bisogna dimenticare che il valore predittivo di un test dipende dalla prevalenza dell’infezione all’interno di una popolazione (vedi qui) e quindi un test positivo su un gatto che proviene da un ambiente controllato e FeLV-free deve sempre essere letto con prudenza.

L’immunofluorescenza (IFA) verifica la presenza dell’antigene virale p27 nel citoplasma delle cellule infette, soprattutto neutrofili e piastrine. Questo test risulta positivo solo dopo che l’infezione ha raggiunto il midollo osseo, dopo almeno 3 settimane. Tale caratteristica rende il test più adatto a confermare un’infezione progressiva, ma sconsigliabile per lo screening, dove è importante individuare precocemente i soggetti infetti e contagiosi. L’esecuzione di questo test richiede, inoltre, laboratori e personale specializzati oltre che una corretta preparazione dei campioni.

La PCR rende possibile la ricerca di sequenze RNA virale o DNA virale inserito nel genoma dell’ospite (DNA provirus). La tecnica PCR è, ad oggi, la metodologia più sensibile ma proprio per questo richiede grande accuratezza nella preparazione e nel trattamento dei campioni. Inoltre è molto sensibile a mutazioni del virus che possono impedire il legame con i primers e quindi dare dei falsi negativi. Il vantaggio della PCR è che può essere applicata sugli elementi figurati del sangue, su midollo e su tessuti; permette di stabilire il carico virale (quantitative real-time PCR), di diagnosticare l’infezione regressiva e di stabilire la causa di tumori o altre patologie in gatti che risultano FeLV-Ag negativi. La tecnica PCR (RNA e DNA) è anche possibile su swab buccali.

La ricerca e titolazione degli anticorpi su FeLV è ancora confinata in ambito di ricerca e non offre un’indicazione diagnostica affidabile. Alcuni gatti presentano anticorpi anti-FeLV in presenza di test negativi (sia Ag e DNA – probabile infezione abortiva) ed altri con infezione progressiva con anticorpi non rilevabili; la ricerca degli anticorpi non è in grado di distinguere gli anticorpi indotti dalla vaccinazione e quelli indotti da infezione naturale, oltre al fatto che alcuni gatti vaccinati non presentano anticorpi rilevabili.

Un protocollo “ragionevolmente attuabile” in un gattile dovrebbe prevedere che:

Schema di test per FeLV

Questo protocollo “semplificato” non garantisce ovviamente la massima certezza diagnostica ma è comunque più affidabile dell’esecuzione di un singolo test. Si raccomanda di eseguire i test quando c’è un’effettiva possibilità di separazione: testare un gatto di colonia, scoprire che è positivo e poi rimetterlo in colonia o cercare un’improbabile sistemazione alternativa è solo uno spreco di risorse.

I gatti andrebbero sempre testati prima di essere immessi in comunità e/o in presenza di patologie correlabili al FeLV; soprattutto se vivono in casa, è bene che il proprietario sia consapevole dello stato sierologico dell'animale.
Per le caratteristiche del FeLV, la diagnosi effettuata con un solo test antigenico (ELISA) non è definitiva (un positivo può andare in regressione, un negativo essere in regressione e ritornare ad essere viremico).

Trattamento

Non esiste alcun trattamento specifico per il FeLV, ma si possono trattare le diverse patologie che il virus può indurre o facilitare, da quelle più comuni (es. infezione ricorrenti di varia natura) a quelle più importanti e spesso letali (disordini ematologici gravi, neoplasie).
La vaccinazione non garantisce l’immunità completa in gatti che vivono a stretto contatto tra loro. Il FeLV, a differenza di altri, è un virus che sopravvive poco nell’ambiente e che viene inattivato dai comuni detergenti. La sua trasmissione necessita, infatti, di contatti prolungati diretti attraverso la saliva (soprattutto grooming reciproco e condivisione di ciotole).

Un gatto FeLV, di casa o di gattile, dovrebbe essere sottoposto a controlli periodici (esami ematochimici completi, analisi delle urine ed eventuale batteriologico in presenza di sedimento attivo) ogni 6 mesi circa, a periodici trattamenti antiparassitari regolari e prontamente visitato in presenza di una qualche sintomatologia.
Un gatto FeLV può essere sottoposto ad interventi chirurgici, compresa sterilizzazione ed interventi odontostomatologici, dopo valutazione clinica ed esami ematochimici ed è sempre consigliabile la somministrazione di antibiotici di copertura.
I gatti FeLV devono sempre essere vaccinati (per FPV, FCV e FHV, i normali vaccini “core”, preferibilmente inattivati ove disponibili), anche se vivono da soli in appartamento, con possibilità di richiamare il vaccino ogni 6 mesi, in caso di accesso all’esterno. I gatti FeLV possono, infatti, non essere in grado di sviluppare un’adeguata risposta immunitaria vaccinale, con una durata dell’immunità inferiore a quella di un gatto sano.

In linea generale l’uso di corticosteroidi nei gatti FeLV deve essere limitato alle effettive necessità, ma è comunque indicato usarli a dosaggi immunosoppressivi in presenza di un comprovato processo patologico di origine immunomediata (così come l’impiego di altri farmaci immunosoppressivi).

Per quanto riguarda i linfomi (e altri tumori) il FeLV non costituisce una controindicazione per i normali trattamenti chemioterapici e/o chirurgici. In caso di tumori FeLV associati la prognosi è, tuttavia, peggiore e l’uso di farmaci immunosoppressivi può essere causa dell’insorgenza di altre patologie FeLV-associate. La chemioterapia, come tutte le terapie immunosoppressive importanti, risultano problematiche nei gattili dove la pressione infettiva è molto forte e si espone l'animale ad infezioni secondarie.

L’anemia è una delle più importanti complicanze ematologiche dei gatti FeLV sintomatici. In caso di anemia è sempre consigliabile escludere la presenza di infezioni da micoplasmi, facilmente diagnosticabili e trattabili con terapia antibiotica. Nelle forme non rigenerative la trasfusione in molti casi si rivela un’utile parte del trattamento, in quanto in corso di FeLV possono verificarsi citopenie di natura ciclica ed in questi casi la terapia trasfusionale può aiutare il superamento del periodo critico.
L’uso dell’eritropoietina ricombinante umana (Aranesp®)(16) può essere di aiuto non solo perché permette un aumento del numero di eritrociti, ma in parte anche del numero di piastrine e di megacariociti (precursori delle piastrine). Dopo 6-12 mesi di trattamento si può assistere alla formazione di anticorpi anti-eritropoietina (25-30% dei casi) e quindi al completo annullamento del beneficio terapeutico, ma questi anticorpi si dissolvono sospendendo il trattamento. L’uso del prednisolone è indicato solo in caso di una prova che attesti la presenza di un processo immuno-mediato(17) (es. positività test di Coomb, sferocitosi, autoagglutinazione)(18).

In presenza di PRCA, diagnosticata attraverso biopsia del midollo, è consigliabile la somministrazione di prednisolone e/o ciclosporina a dosi immunosoppressive, che però devono essere sempre continuati anche in caso di remissione, in quanto la sospensione causa invariabilmente il ripresentarsi dell’anemia.

In caso di neutropenia può rendersi necessaria per alcuni gatti la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro, al fine di contrastare infezioni secondarie e può essere utile la somministrazione di fattori di stimolazione delle colonie granulocitiche (Filgrastim®). Nonostante l’iniziale risposta terapeutica, l’uso continuativo del farmaco può, tuttavia, indurre uno sviluppo di anticorpi anti-G-CSF dose-dipendente, per cui il trattamento non dovrebbe mai superare le 3 settimane.

Diverse terapie antivirali ed immunomodulanti sono state provate sul FeLV, ma nessuna di queste si è dimostrata efficace nel contenere o eliminare l’infezione in studi controllati.
I farmaci antivirali provati sul FeLV(19) sono farmaci ad uso umano contro l’HIV, quali zidovudine, raltegravir(20), ribavirina, ecc.. Ad oggi, tuttavia, mancano studi in vivo che permettano di comparare i risultati ottenuti in vitro, o di valutarne il grado di tossicità riscontrato per alcuni farmaci.

Gli immunomodulanti sono citochine che hanno un effetto di stimolo su diversi tipi di cellule immunitari. I più utilizzati sono l’interferone alfa umano e l’interferone omega felino. L’uso parenterale dell’interferone alfa umano induce la formazione di anticorpi, che ne limitano l’efficacia; l’uso orale non ha dimostrato effetti significativi contro il virus, ma sembra avere effetti immunomodulanti, soprattutto a carico dei tessuti linfoidi locali (cavità orale). Non esistono studi controllati che comprovino l’efficacia di questo trattamento.
L’interferone omega felino(21), che ha il vantaggio di non indurre la formazione di anticorpi, è in grado di inibire la replicazione virale in vitro. Tuttavia, negli studi eseguiti in vivo, non è stata apprezzata una differenza significativa in termini di efficacia e prognosi tra gatti trattati e gatti non trattati.

Sono infine stati provati una varietà di altre sostanze, da estratti del bacillo di Calmette-Guerin, ad antiparassitari con azione immunomodulante (levamisole, dietilcarbamazine, ecc.) ad estratti di aloe (acemannan) senza risultati apprezzabili e comprovati.

Non esiste un trattamento specifico per il FeLV ma si possono e devono trattare le singole patologie, comprese quelle FeLV-correlate, secondo i normali protocolli medici.

Vaccini

Lo sviluppo di un vaccino efficace e sicuro per il FeLV presenta difficoltà. Sebbene la prima preparazione risalga al 1985, non si dispone attualmente di un vaccino con caratteristiche di efficacia e sicurezza comparabile ad altri vaccini. Molti studi relativi all’efficacia dei vaccini sono stati condotti o sponsorizzati dalle case farmaceutiche e con protocolli diversi che ne rende difficile una confronto(22). Solo in pochi studi è stata valutata la risposta di gatti sani in un ambiente con gatti escretori (con alta pressione infettiva paragonabile a quella di un gattile), senza che ne sia stata dimostrata una sufficiente efficacia.

Non è quindi raccomandabile tenere assieme gatti sani e gatti FeLV, anche se vaccinati.

Detto questo, è sempre bene vaccinare i gatti sani che hanno possibilità di entrare in contatto con gatti FeLV anche se la protezione non si può considerare “assoluta”. Va ricordato che esiste una documentata associazione tra i vaccini FeLV (e rabbia) con adiuvanti e il possibile, anche se raro, sviluppo di sarcomi associati al sito di inoculo(23). Sembra che i gatti abbiano una particolare sensibilità alla risposta infiammatoria indotta dagli adiuvanti utilizzati nei vaccini uccisi o spenti, che in alcuni casi porta allo sviluppo di neoplasie. Per questa ragione è fortemente consigliata la somministrazione di questi vaccini nel sottocute della zampa posteriore sinistra e non nella zona intrascapolare (sul collo). Nel caso di sviluppo di sarcomi a livello della zampa porteriore e possibile procedere all’amputazione dell’arto, mentre nel collo non sarebbe possibile dare sufficiente margine alla chirurgia.

I moderni vaccini ricombinanti che usano come vettore il canaripox(24), un virus modificato geneticamente per incorporare le informazioni genetiche degli antigeni FeLV - non hanno adiuvanti, non presentano il rischio di indurre lo sviluppo di sarcomi e hanno una buona efficacia.

In teoria i gatti dovrebbero essere testati prima della vaccinazione, anche se uno studio(25)) ha evidenziato come la vaccinazione in gatti sani (con ricombinanti e con vaccini uccisi adiuvati) non provoca né danno né beneficio.

Esistono dei vaccini per il FeLV ma attualmente non presentano caratteristiche di efficacia comparabili con gli altri vaccini: i gatti sani che possono entrare in contatto con gatti FeLV vanno quindi vaccinati, ma tenere a stretto contatto gatti sani vaccinati e gatti FeLV non è consigliabile.

Fonti:

Francesca Iavazzo, DVM, Medicina Generale; Clinica Veterinaria Mugnai Pozzi, Milano

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